Fotografia di Bain New Service (George Grantham Bain Collection), località sconosciuta, primi anni ’20. La foto ritrae la famiglia di sir Arthur Conan Doyle in partenza su una nave. Con tanto di madre che sta chiaramente sgridando il figlio primogenito; il secondogenito che guarda ingrugnito l’orizzonte, la piccola di casa dallo sguardo furbetto e Conan Doyle che fa del suo meglio per ignorare tutti, guardando lontano. Insomma, Conan Doyle uno di noi.
Sir Arthur Conan Doyle, non solo il “papà di Sherlock Holmes”
Sir Arthur Conan Doyle lo conosciamo tutti come il “papà” di Sherlock Holmes. Ma cosa sappiamo davvero di lui? Dalla foto apprendiamo che aveva un bel paio di baffoni, una moglie e tre figli. Sir Arthur Ignatius Conan Doyle nacque a Edimburgo il 22 maggio 1859. La famiglia del padre sosteneva di far parte della nobiltà celtica irlandese, anche la madre proveniva dall’isola di smeraldo. Dopo gli studi giovanili (trascorse anche alcuni anni in Austria), ecco che nel 1881 si laureò in Medicina e Chirurgia (non a caso si pensa che il personaggio del dr. Watson sia un alter ego di Conan Doyle).
In quel periodo non solo scrisse la sua primissima opera, Il mistero di Sasassa Valley, ma pubblicò anche un articolo medico, su un sedativo che aveva sperimentato su se stesso (vi ricorda niente?).
Continuò a scrivere anche mentre faceva l’assistente medico. Mentre lavorava per il dottor Reginald Hoare a Birmingham, trattato come un figlio, ecco che iniziò ad amare la letteratura. Qui conobbe anche il dottor Joseph Bell, di cui fu assistente e da cui imparò il metodo scientifico e le abilità deduttive (di nuovo non vi ricorda niente?).
Nella foto vedete il ritratto di un uomo qualunque, pacato, solido e tranquillo. Ma in realtà aveva alcune convinzioni assai eccentriche. Per esempio, era uno sostenitore dello spiritismo. Accanto a queste credenze, però, si accompagnava anche un lato pratico. Per esempio, dichiarò sempre di fare attenzione alla tanto sbandierata cura per la tubercolosi. Ma sostenne anche la riforma per il divorzio, intervenne nella questione delle atrocità in Congo e si dilungò a spiegare quanto sarebbero stati dannosi gli effetti del blocco sottomarino.
Fu anche un abile sportivo: praticò la boxe (altro campanellino), il biliardo, il cricket, il motociclismo, lo sci e il calcio. E amava passare le sue vacanze in Svizzera, dove si sottoponeva alle cure termali. Quando possibile assisteva ad eventi sportivi dalla risonanza mondiale – vedasi la sfortunata maratona londinese del nostro Dorando Pietri.
Per quanto riguarda la carriera medica, oltre ai diversi periodi di assistentato presso i vari medici, doveva fare pratica prima di potersi definire un dottore. L’ideale sarebbe stato aprire un suo studio, ma gli mancavano i fondi. Così penso di andare in India come medico del governo, ma alla fine decise di diventare il medico di bordo sul battello Mayumba, per l’African Steam Navigation Company. L’idea era di mettere dei soldi da parte e di studiare meglio la malaria e la febbre africana.
Solo che dopo pochi mesi si stancò e rimase senza lavoro. La speranza di potersi guadagnare da vivere scrivendo sfumò ben presto. Provò anche a lavorare nello studio di un collega, ma niente da fare.
Così si risolse ad aprire uno studio medico a Portsmouth. Avendo parecchio tempo libero (non aveva poi tanti pazienti), iniziò in questo periodo a scrivere le avventure di Sherlock Holmes. I suoi scritti piacquero agli inglesi. Il primo romanzo fu Uno studio in rosso, pubblicato nel 1887. Da lì fu un crescendo, anche se è bene sfatare un mito: avete presente la frase “Elementare, Watson!”? Ebbene, nei romanzi non esiste.
Ma si dedicò anche al giornalismo, scrivendo un pezzo per le Olimpiadi di Londra. Intanto continuava a scrivere di Holmes, anche se ben presto iniziò a odiare questo personaggio: era più famoso di lui. Anzi: dichiarò ad alcuni amici che aveva scritto fin troppo su Holmes (tanto da farlo prima morire e poi resuscitare per via dello scontento creato fra i lettori) e che, anzi, voleva dedicarsi ai romanzi storici e al ruolo di corrispondente di guerra.
Si dedicò con proficuo anche al settore del fantastico e del soprannaturale. Suoi sono, per esempio, La mummia e Il mondo perduto.
Fu anche presidente di una loggia Massonica, scrivendo diversi saggi in merito allo spiritismo. E fu anche un grande amico di Houdini. Morì il 7 luglio 1930 a 71 anni, a seguito di un attacco cardiaco mentre si trovava nella sua casa di campagna.
Per quanto riguarda la sua famiglia, sappiamo che si sposò due volte. La prima volta fu nel 1885 con Louisa Hawkins, la sorella di un suo paziente e forse una paziente lei stessa, deceduta poi nel 1906 per tubercolosi e dalla quale ebbe due figli.
Al suo capezzale troviamo, invece, la seconda moglie, Jean Elizabeth Leckie (amata platonicamente da una decina di anni e con capacità da medium), dalla quale ebbe tre figli, Adrian, Malcom e Denise. Era un’amica della prima moglie e la sposò nel 1907.
Nessuno dei cinque figli di Doyle ebbe altri figli, quindi non esistono suoi discendenti diretti.