Tra le molte pagine tristi della nostra storia una delle più discriminatorie riguarda gli zoo umani. Molto in voga nel periodo che va dal 1870 al 1940. In cosa consistevano questi zoo? Come facilmente deducibile erano banalmente esposizioni di uomini considerati diversi dagli europei.
Come molti avranno intuito il periodo in questione è quello coloniale. Le popolazioni africane colonizzate durante il XIX secolo erano infatti considerate inferiori. Ci voleva una giustificazione teorica però per mandare giù una pratica così abominevole. Ecco che, oltre agli studi sulla razza, largamente diffusi nel periodo in questione, si ricorse al darwinismo sociale.
Quella di Montezuma, in Messico, fu una delle prime “esposizioni antropologiche“, come venivano chiamate in maniera edulcorata. A fianco agli animali più disparati vi erano uomini affetti da nanismo, albinismo e gobbi.
Non fu però, purtroppo, un fenomeno solo contemporaneo. Già in epoca moderna, il cardinale Ippolito de’ Medici possedeva un’esposizione simile. Egli vantava di avere una collezione di oltre 20 razze, fra cui barbari, Mori, Tatari, Indiani ed Africani.
Dopo il 1870 il fenomeno divenne però davvero di portata mondiale. Mostre del genere si potevano trovare nelle principali città e capitali europee. Una mostra organizzata da P.T. Barnum nel 1835 esponeva i famosi gemelli siamesi Chang ed Eng Bunker, nativi del Siam da cui la rara condizione genetica prende il nome.
Purtroppo la pratica sopravvive ancora oggi. Un villaggio congolese è stato esposto alla fiera mondiale di Bruxelles nel 1958 e sul finire del secolo alcuni villaggi africani erano considerati tappe di alcuni zoo safari. Lentamente in via d’estinzione dunque la pratica delle esposizioni umane ci auguriamo sia seguita anche da quella di animali.