Dove non c’era il fango delle trincee vi si scorgeva la melma delle paludi. Nei luoghi in cui non risuonavano i fragori dell’artiglieria pesante, fischiavano i proiettili tra le liane della giungla. Alle grandi pianure si sostituivano terreni scoscesi intervallati da corsi d’acqua irregolari, fitta vegetazione e alberi alti quanto palazzi dell’epoca corrente. Spesso lo si dimentica, ma la Prima Guerra Mondiale si combatté anche in Africa: dal nord desertico al sud verde e rigoglioso, dall’est costiero all’ovest delle radio-colonie. Protagonista assoluto di questo scenario purtroppo ignorato fu Paul von Lettow-Vorbeck, generale del Kaiserreichsheer, comandante in capo delle Schutztruppe, la forza coloniale tedesca operativa sul continente africano. Della sua storia vorrei dirvi qualcosa, in quanto ricca di dettagli impressionanti, talvolta surreali, eppure concreti come la sua unica capacità di comando e resilienza. Non si diventa Leone d’Africa così, per caso.
Allo scoppio della guerra, la Schutztruppe nell’Africa Orientale Tedesca era la più debole delle forze in campo. In inferiorità per numero ed equipaggiamento, essa poteva vantare un solo asso nella manica: Paul Emil von Lettow-Vorbeck, figlio che più figlio non si può dell’élite guerriera prussiana. Prima della Grande Guerra von Lettow-Vorbeck poteva vantare un servizio di tutto rispetto, tra operazioni di contenimento in Cina durante la rivolta dei Boxer e di repressione nell’Africa tedesca del Sud-Ovest (qui l’approfondimento sugli Herero). Ironia della sorte: furono queste esperienze ad accrescere in lui l’astio per la guerriglia come tecnica di battaglia disonorevole. Lui che non solo l’adotterà di lì a poco, ma ne sarà probabilmente il massimo rappresentante per tutto il XX secolo.
Come si spiega questo paradosso? In Namibia l’ufficiale ebbe l’opportunità di apprezzare i benefici di uno stile di guerra così irregolare e potenzialmente vantaggioso – in determinate condizioni – grazie agli insegnamenti di un capo tribù catturato. In poche parole Paul von Lettow-Vorbeck eseguì alla lettera quello che la massima “se non puoi sconfiggerli, unisciti a loro” consiglia.
Tornando agli albori della guerra, è necessario soffermarsi sull’entità delle forze in campo. L’Intesa schierava un mix di soldati coloniali britannici, belgi e portoghesi. Tutti composti per la maggior parte da soldati africani arruolatisi in loco, con minori porzioni di europei, per un totale compreso tra i 12.000 e i 20.000 effettivi. Per quanto riguarda la maggiore concentrazione di Schutztruppe nel territorio di competenza di von Lettow-Vorbeck, si contavano all’epoca non più di 2.700 soldati. Di questi vi era un solo pugno di volontari europei, mentre a farla da padrona era la componente africana, inquadrata negli Askari. Entrambi gli schieramenti erano estranei al concetto di “guerra aperta”. Tanto i tedeschi quanto i membri dell’Intesa “godevano” di un equipaggiamento non idoneo o addirittura obsoleto. Non sorprende, perché gli alti comandi avevano concepito queste formazioni in armi come forze di contro-insurrezione.
Se invece allargassimo il raggio della nostra analisi, comprendendo l’intera sezione meridionale del continente, la disparità sarebbe ancor più marcata. L’esercito coloniale del kaiser vantava non più di 30.000 uomini (18.000 regolari, 12.000 circa mercenari). L’Intesa giganteggiava con circa 250.000 unità. A ciò si aggiunga lo strapotere alleato sui mari e il blocco navale che stringeva in una morsa l’intero impero germanico. Capite perché, almeno sulla carta, non doveva esserci partita? Poi però, come raramente accade, entrano in gioco delle variabili impazzite, in grado di stravolgere piani e previsioni di ogni genere. Quella variabile era nota a tutti come “Der Löwe von Afrika” ossia “il leone dell’Africa“.
Il ragionamento alla base dell’intraprendenza tedesca in Africa orientale era molto semplice, seppure controintuitivo per tanti altri motivi: gli inglesi sono oggettivamente di più, meglio organizzati e logisticamente superiori; dunque prendere l’iniziativa potrebbe scombussolare i loro preparativi e giocare a vantaggio degli aggressori. Ragionò così von Lettow-Vorbeck che attaccò per primo, riportando solo che vittorie (su piccola scala) tra l’autunno del 1914 e la primavera del 1915. Spesso gli attacchi non avevano come obiettivo l’annientamento del nemico, ma il logoramento delle sue possibilità organizzative, l’annullamento del fattore logistico, la dispersione dei rifornimenti. Tattiche di guerriglia che nell’atto pratico ebbero un effetto miracoloso: le disparità numeriche (9:1 via mare e 3:1 via terra a favore dell’Intesa) non sembravano essere più una preoccupazione.
Per tutto il 1915 si verificò sostanzialmente una situazione di stallo, con qualche sortita qua e là ma nulla di trascendentale. Nel ’16 i britannici si decisero a fare sul serio: forti del rinnovato supporto belga e guidati dal navigato ufficiale boero Jan Christiaan Smuts, effettuarono delle offensive sul confine nord dell’Africa Orientale Tedesca. L’unico vero obiettivo delle succitate operazioni era la cattura del tenente colonnello von Lettow-Vorbeck. La campagna si fregiò di importanti successi, come la presa di Tabora, capitale della colonia tedesca, o ancora della conquista dei principali snodi ferroviari a nord dell’odierna Tanzania, vitali per il sostentamento della Schutztruppe. Malgrado le evidenti perdite, gli uomini del generale continuarono a resistere, semmai intensificando le azioni di guerriglia (con preminente accento su imboscate e sabotaggio).
Ma c’è un lato umano della vicenda che bisogna per forza di cose evidenziare. Nessuno, nella truppa, osava dubitare delle virtù del Leone dell’Africa. Ciò si traduceva in un’irriducibile lealtà, corroborata dalla leadership di Lettow-Vorbeck, dalla sua sensibilità nei confronti dei soldati coloniali (padroneggiava lo swahili e partecipava ad alcuni riti tradizionali degli Askari). Che questa non appaia come un’apologia al generale imperiale! Perché questo suo “tenere” ai soldati provocò, di converso, una drammatica scia di morte e distruzione. Egli diede totale libertà ai suoi di procacciarsi cibo e accaparrarsi vestiti senza tener conto della loro appartenenza. Dunque non mancarono episodi di violento saccheggio e sterminio delle popolazioni locali.
Messi alle corde durante tutto l’anno, von Lettow-Vorbeck e i suoi 10.000 uomini circa, decisero alla fine del 1917 di cambiare terreno di battaglia. Avrebbero combattuto nel Mozambico portoghese fino al sopraggiungere della stagione delle piogge. In seguito le Schutztruppe presero di mira la Rhodesia settentrionale (oggi Zambia), sconfinandovi nel 1918. Fu l’unico momento dell’intera Prima Guerra Mondiale in cui gli Imperi centrali occuparono una porzione di territorio sotto formale giurisdizione inglese. L’esercito coloniale tedesco vi rimase fino al 14 novembre 1918, tre giorni dopo l’armistizio di Compiègne.
In quei giorni, giusto per cambiare, von Lettow-Vorbeck stava conquistando la città di Kasama. Una volta presa, accettò un cessate il fuoco e iniziò la marcia verso Dar es Salaam. Dal principale porto della regione, lui, 155 tedeschi, 1.168 Askari e circa 3.500 facchini nativi, presero una nave che li avrebbe ricondotti a casa. Berlino aveva perso la guerra e con lei tutti i suoi rappresentanti militari, tra cui il protagonista di questa pillola. Tuttavia Paul Emil von Lettow-Vorbeck ne uscì da invitto, non essendo stato mai sconfitto in battaglia, l’unico a poterlo dire tra i suoi omologhi in ogni teatro bellico dell’intero conflitto.
Tornò a casa da eroe; la neonata e già decadente Repubblica di Weimar lo decorò per i suoi servigi. L’ex generale entrò anche in politica come conservatore ma si tenne a debita distanza dagli ideali revanscisti e ultranazionalisti che andavano progressivamente per la maggiore. Con il nazionalsocialismo al potere, il Führer lo propose come ambasciatore in Inghilterra. Lui si rifiutò mandando a quel paese il cancelliere e capo di stato tedesco. Dopo la guerra tornò in Tanzania, negli anni ’50 colonia del Regno Unito. Gli inglesi riservarono per il loro ex acerrimo nemico un’accoglienza in pompa magna. Morì nel 1964 poco prima di compiere 94 anni (era del 1870).
Ricordato con sincero riguardo da tutti, in patria e fuori. Onestamente sarebbe difficile spulciare tra i grandi nomi della Germania contemporanea e trovare un individuo così stimato. Le sue mani non furono pulite; anche lui si macchiò di azioni tutt’altro che rispettabili. Eppure la storia del Leone dell’Africa si racconta da sé e sarebbe ingiusto non riconoscergli un peso specifico nelle questioni che lo riguardarono più da vicino.