Almanacco del 21 ottobre, anno 63 a.C.: Cicerone ottiene finalmente il Senatus consultum ultimum (lett. “ultima decisione del Senato”) per poter fronteggiare Catilina. Tale provvedimento attribuiva ai consoli poteri speciali per tenere testa ad eventuali situazioni di estremo pericolo per la Repubblica romana. Esattamente quello che rappresentava Lucio Sergio Catilina per l’ordine costituito in quel frangente.
Eletto console nel 64 a.C. per l’anno successivo, Marco Tullio Cicerone condivise la carica come da tradizione con Gaio Antonio Ibrida (lo zio di Marco Antonio, il futuro triumviro). Il successo di Cicerone era dovuto in larga parte alla classe equestre, che infatti non mancò di remunerare non appena possibile con favorevoli disposizioni agrarie. Tuttavia la più grande sfida che l’arpinate dovette affrontare in veste di console fu Lucio Sergio Catilina.
Egli, nato nel 108 a.C., era a tutti gli effetti un nobile decaduto. La sua famiglia vantava una rispettabile ascendenza, ma da tempo non aveva nulla a che fare con la sfera del potere romano. Grazie a premeditati legami matrimoniali, riuscì ad associarsi prima a Gaio Mario, poi a Gneo Aufidio Oreste – console nel 71 a.C. – (sposò rispettivamente la nipote del primo, Gratiana, e la figlia del secondo, Aurelia Orestilla). Gli anni della svolta per il giovane Catilina furono l’89 e l’88 a.C. Partecipò in prima linea alla guerra sociale (questo l’approfondimento se di vostro interesse) e, ventenne a malapena, seguì Silla in Asia nel conflitto mitridatico. In battaglia iniziò a costruirsi una certa reputazione come fedele soldato e valido comandante, anche se giovanissimo.
Assoluti pregi, ma solo all’apparenza, perché gli scritti a noi pervenuti (redatti da personalità dichiaratamente ostili a Catilina) li tramutarono in dissacranti difetti. Dunque il “valido comandate” divenne “lo spietato carnefice” durante la guerra civile tra optimates, con cui si schierò, e populares. Nacque così la leggenda nera di Catilina, sulla quale tanto si è dibattuto e sui cui non vorrei soffermarmi nella speranza di farlo con più rigore in un prossimo futuro.
Dopo questa velocissima presentazione, chiediamoci: cosa costrinse Cicerone ad un atto così urgente e insolito? Del resto prima del 21 ottobre del 63 a.C., si era ricorsi al Senatus consultum ultimum solo in quattro occasioni. La risposta è da ricercare nell’insoddisfazione e nel senso di rivalsa che Catilina provava nei confronti del ceto senatorio. Per ben tre volte si era candidato al consolato, e per ben tre volte la candidatura era stata respinta. Egli credeva che le motivazioni dietro il fallimento fossero pretestuose; un complotto contro la sua persona. Reagì a quelle che per lui erano ingiustizie. Lo fece ordendo una congiura a potenziale danno del Senato, della Repubblica e dello status quo.
Venuto a conoscenza della cospirazione tramite una soffiata, Cicerone chiese ed ottenne dalla più autorevole assemblea istituzionale poteri straordinari per contrastare l’ambizioso progetto sovversivo dell’avversario. Scendendo nel dettaglio, grazie alla concessione senatoriale, i consoli divenivano semi-dittatori. Mi avvalgo della concisa descrizione di Sallustio, il quale nel De Catilinae coniuratione afferma:
«E il senato, come si fa di solito nelle più gravi circostanze, decretò che i consoli si incaricassero dell’integrità della repubblica. Il potere vastissimo che, secondo gli usi romani, è concesso dal senato a quella magistratura con quella formula comprende: l’allestimento dell’esercito, la condotta della guerra, la facoltà di costringere con ogni mezzo soci e cittadini all’obbedienza, piena e assoluta autorità militare e giudiziaria tanto in città quanto al campo. In altro caso, senza un decreto popolare, nessuna di codeste prerogative entra nei limiti del potere consolare».
Cicerone riuscì a sfuggire al tentativo di assassinio messo in atto dai congiurati. Per l’occasione, tra il novembre e il dicembre del 63 a.C. pronunciò le famosissime quattro orazioni che prenderanno il nome di Catilinarie (dal latino “Orationes in Catilinam”). Oramai con le spalle al muro, i congiurati persero il loro leader che fuggì in esilio in Etruria. L’anno dopo Catilina morì in battaglia presso Pistoia, accerchiato dalle forze repubblicane a lui avverse.
La disgrazia di uno si tradusse nella gloria dell’altro. Cicerone si vantò di aver scongiurato il rovesciamento della Repubblica senza l’uso della forza. A tal riguardo è nota la sua espressione “Cedant arma togae” ovvero “che le armi lascino il posto alla toga”. Come prova concreta di un prestigio assoluto, l’arpinate venne insignito del titolo onorifico di pater patriae (anche se l’attribuzione resta incerta), che prima di lui poterono sfoggiare illustri nomi come Romolo, Marco Furio Camillo, o successivamente Cesare e Ottaviano Augusto.