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Ma il Cavallo di Troia è mai esistito?

Ma il Cavallo di Troia è mai esistito?

La prova provata che Troia sia esistita anche nella realtà e non solo nell’epica omerica ce l’abbiamo, fornita un secolo e mezzo or sono dall’intraprendente archeologo Heinrich Schliemann. Seguendo le vaghe indicazioni dell’Iliade e avvalendosi di una buona dose di fortuna – che non guasta mica – il tedesco poggiò il suo sguardo sui resti di una grande città del più antico passato. Oggi prende il nome turco di Hisarlik, un tempo dall’Egeo al Mediterraneo occidentale tutti la conoscevano come Troia. Volendo, si potrebbero evidenziare alcuni indizi sull’effettiva storicità della guerra tra Achei e Troiani. Le parti rimanenti di quelle mura leggendarie mostrano un certo grado di deterioramento nel periodo in cui la guerra teoricamente infuriò (1250 a.C. – 1184 a.C. circa). Che poi a provocare il danno appena citato possano esser stati altri fattori, questo è tutto da dimostrare. Resta solo un ultimo dubbio: il Cavallo di Troia è realmente mai esistito?

Ma il Cavallo di Troia è mai esistito?

Si trattò di un simbolo? Di un’allegoria? O davvero il genio di Ulisse trovò concreta materializzazione nel cavallo di legno che i figli di Ilio avrebbero poi fatto entrare nella città? A dirla tutta, la questione sul cavallo è tanto vecchia quanto quella dell’esistenza di Troia. Solo che la seconda ha conosciuto un degno epilogo, mentre la prima è tutt’ora oggetto di dibattiti e ipotesi più o meno valide. Tra le ipotesi avanzate ne spiccano alcune davvero interessanti. Come quella che vuole il cavallo essere in realtà una torre d’assedio o, ancor più romanticamente, un ariete con il quale i guerrieri di Agamennone sfondarono le mitiche porte Scee.

Studiosi, archeologi, letterati e accademici si sono posti la domanda e a loro modo hanno cercato di fornire una risposta quanto più congrua possibile. Il Cavallo di Troia fu dunque un fenomeno naturale talmente violento da spezzare la resistenza degli assediati, garantendo la vittoria agli assedianti. Dunque un terremoto? No, una tempesta come non se ne vedevano da secoli! O ancora: fu un piano escogitato da Ulisse che prevedeva l’utilizzo di una grande barca per trasportare i Greci fino ad un accesso segreto della città fortificata. D’altronde era Omero a definire le imbarcazioni “cavalli dell’abisso” o il drammaturgo Euripide che immaginava gli equini come “scafi scuri di una nave”.

Cavallo di Troia rappresentazione dell'XI secolo

Tutte interpretazioni meritevoli di un accenno, certamente, ma le fonti antiche offrono un racconto molto attento ai dettagli e similmente realistico. Apprendiamo dall’Eneide (assieme all’Iliade la fonte scritta per eccellenza incentrata sui fatti, eppure non sempre attendibile, anzi…) come il costruttore vero e proprio del cavallo fu Epeio di Focide. Secondo il capolavoro virgiliano, Epeio realizzò l’espediente con il legno raccolto dalle pendici del Monte Ida, la vetta più alta di Creta. Leggiamo che il Cavallo di Troia doveva poggiare su ruote, per facilitare lo spostamento; come gli Achei lo trainarono con corde di lino e che, con maestria dei Greci, alcune parti fossero flessibili (nell’Eneide si fa riferimento alla coda, le cosce e gli occhi).

Quanti ne entravano ipoteticamente? Diversi autori antichi, tra cui Stesicoro e Quinto Smirneo, provano a fornire una stima numerica. Le fonti qui entrano in reciproco disaccordo. C’è chi sostiene un massimo di 30 persone (fornendo anche i nomi degli impavidi Achei), altri dicono 50 e non oltre. Poi ci sono quelli che esagerano, indicando 100 o addirittura 3.000 soldati dentro la cavità del cavallo semovente. Al di là dei numeri e delle caratteristiche estetiche, su un punto in particolare non piove: lo stratagemma del Cavallo di Troia fu ritenuto geniale già all’epoca, dunque non rientrava nell’albo delle tecniche tradizionali degli assedi arcaici.

Cavallo di Troia Cerveteri

Se davvero questo diabolico trucco si è manifestato davanti le mura volute da Apollo e Poseidone, perché si è scelto di dargli forma equina? Una risposta accettabile esiste, ma non è detto sia quella giusta. Basta pensare per un attimo all’importanza del cavallo nell’Età del Bronzo, lasso temporale in cui si svolge il conflitto omerico in Asia Minore. I cavalli fungevano da mezzo di trasporto, da bene materiale intrinseco e, cosa non secondaria, esser loro proprietari valeva il riconoscimento di un certo status sociale. Poi è innegabile che i cavalli, allora come fino ad un secolo fa, si sposassero con la sfera marziale.

In particolare i Troiani erano soliti associarsi al cavallo. Omero si riferisce a loro come “domatori di cavalli” per un motivo esatto. Nel reame dei vari Dardano, Laomedonte e Priamo i cavalli rappresentavano l’elemento topico attorno al quale ruotava l’economia, la religione e la cultura. Può darsi che Omero abbia utilizzato l’animale come espediente letterario, come rappresentazione della guerra stessa che viene introdotta, sia in termini letterari che simbolici, all’interno delle mura troiane.

Cavallo di Troia vaso di Mykonos

Non solo i comuni mortali, ma anche le divinità giocano un ruolo di primo piano nella vicenda, come è giusto e scontato che sia. Il coinvolgimento di Atena è esemplare. Quelli che sono gli elementi caratteristici legati a suddetta divinità (dunque arte, saggezza e padronanza strategica) sono essenzialmente espressi dalla costruzione del cavallo e dal suo impiego. Atena è colei che apparve in sogno ad Epeio suggerendo il metodo di costruzione. Gli Achei introdussero il cavallo nella città asserendo come fosse un dono in nome della dea, facilitando così la riuscita dell’inganno.

Purtroppo neanche con tutto il realismo di questo mondo e l’attenzione al dettaglio storico si può rispondere alla domanda con la quale ho esordito. Ci sono tracce che lasciano presupporre la veridicità dell’espediente. Eppure queste risultano essere delle volte troppo vaghe, altre fin troppo precise (così precise da far credere si tratti di pura fantasia). Per non citare in causa un dettaglio che fino a qui ho volutamente omesso, ma chi tra di voi conosce bene l’opera omerica non ha mica dimenticato: Omero (reale o convenzionale che sia) scrisse quasi mezzo millennio dopo gli eventi di Troia. Una finezza che andrebbe ad intaccare qualunque ragionamento fondato sulla reale o presunta esistenza del Cavallo di Troia.