Prima di diventare la Volpe del Deserto, di essere il feldmaresciallo a capo dell’Afrikakorps, prima ancora che il suo mito si cementasse persino tra i ranghi Alleati, Rommel fu un semplice ma caparbio tenente al servizio del kaiser e dell’Impero tedesco. In questa pillola mi concentrerò sull’enorme contributo che il tenente (Leutnant in tedesco) diede durante il suo servizio attivo negli anni della Grande Guerra. Dalle prime offensive tedesche in Francia, alle travolgenti avanzate in Romania, passando per le brillanti tattiche alpine in Italia, qualcuno si convinse del fatto che al tempo – fosse pure cascato il mondo – “dove c’era Rommel, c’era il fronte” (cit. Desmond Young).
Johannes Erwin Eugen Rommel nacque nel 1891 nella città di Heidenheim, nel Württemberg. Suo padre, ex ufficiale d’artiglieria e insegnante, e sua madre, membro dell’amministrazione cittadina, denotarono nel piccolo Erwin, dal viso pallido e dalla bionda chioma “un atteggiamento risoluto, una notevole rapidità di pensiero e, sopra ogni cosa, l’impavidità di chi sa di poter tenere testa a chiunque”. Crescendo Rommel studiò, in particolar modo si appassionò all’ingegneria e all’aviazione, scalpitando per poter entrare come mastro fabbricante nelle officine di Friedrichshafen, nelle quali venivano ultimati gli Zeppelin. Suo padre lo pose tuttavia di fronte ad un bivio: diventare un insegnante o un militare. Erwin Rommel optò per la seconda.
Fece domanda nel 1910 e in un primo momento gli venne rigettata. La motivazione, ironica col senno del poi, era la seguente: “visti i tempi che corrono, non abbiamo bisogno di nuovi soldati” (Gilbert, The First World War). Alla fine entrò in un reggimento locale di fanteria e nel 1911 fece ingresso nell’accademia militare prussiana di Danzica, dalla quale sarebbe uscito nel 1914 col grado di tenente. Allo scoppio della guerra fu inquadrato in un reggimento di fanteria all’interno del 13° corpo d’armata del Württemberg, alla guida del quale vi era il generale Max von Fabeck. Suddetto corpo d’armata rientrava a sua volta nella 5° armata del principe Guglielmo.
Rommel ebbe l’opportunità di distinguersi subito poco dopo lo scoppio delle ostilità. Come da spartito, il piano Schlieffen prevedeva per la 5° armata un ruolo di contenimento sulla Mosa, mentre l’ala destra dell’esercito imperiale passava per il Belgio. Tedeschi e francesi finirono per scontrarsi non lontano dal villaggio di Longwy. Rommel guidava una pattuglia del suo plotone e durante una ricognizione incappò in una piccolo gruppo di francesi a riposo. Poteva scegliere di annotare la posizione e tornare indietro dai suoi superiori o di agire di propria testa e tentare un’azione fulminea. Non staremmo qui a chiacchierare se avesse scelto la prima strada.
In un mix di rapidità, efficacia d’azione e risolutezza, Rommel e il suo plotone (sopraggiunto solo quando i francesi furono dispersi) conquistarono da soli il villaggio di Longwy, ben difeso e altrettanto ben collegato alle linee di rifornimento transalpine. Un vero e proprio battesimo di fuoco per il tenente di Heidenheim. Nelle successive settimane agì sempre in prima linea, battendosi con coraggio e sollevando il morale dei suoi soldati anche nei momenti di massimo stress. Testimonianze lasciate dai suoi sottoposti presentano un quadro a dir poco chiaro dell’atteggiamento mantenuto da Rommel in quei frangenti di guerra. Si legge come fosse “il perfetto animale da combattimento, freddo, astuto, crudele, infaticabile, veloce nel decidere e incredibilmente coraggioso”.
Nell’ennesimo scontro a fuoco nei pressi di Jametz (Varennes), ancora una volta avvenuto all’interno di una fitta boscaglia, rimase ferito ad una gamba. Il gesto gli valse sì un proiettile sulla coscia, ma anche una Croce di Ferro di II classe. L’infermità durò dal settembre del 1914 fino al gennaio dell’anno successivo. Ritornato operativo, anch’egli si ritrovò impantanato nella sporca guerra di trincea nell’Argonne. Nove mesi, fino all’ottobre del ’15, in cui la sua fama accrebbe e con lei le capacità strategiche di Rommel. I superiori decisero di premiare e promuovere l’ufficiale. Lo decorarono con la Croce di Ferro di I classe e lo promossero a primo tenente. Era la prima volta nella storia dell’esercito tedesco; mai nessuno di quel grado aveva potuto fregiarsi di un così prestigioso riconoscimento.
Con queste generalità entrò a far parte di un corpo d’élite dell’esercito di terra tedesco. Lui – così come tutta la sua unità – avrebbe anticipato le eccelse tattiche offensive delle Stoßtrupp. Fece della combinazione tra fanteria leggera e mitragliatrici leggere il suo letale marchio di fabbrica, applicabile su ogni terreno. Tatticismi che lo condussero alla vittoria in numerosi raid meticolosamente organizzati sugli Alti Vosgi. Poi un altro trasferimento, questa volta in Romania.
La guerra in Romania non era statica e logorante come quella in Francia. Il fronte rumeno era in costante movimento e Rommel si trovava proprio nel suo ambiente ideale. I suoi biografi (prevalentemente Desmond Young, ma anche Basil Liddell Hart che, per inciso, sono gli stessi che hanno dato un grosso contributo a consolidare la leggenda di Rommel, dalla quale però il sottoscritto prende le distanze) scrissero che fu nelle vallate transilvane che Erwin Rommel riscoprì “il valore della guerra mobile nella modernità”. Insegnamenti che, a quanto pare, gli tornarono utili un ventennio dopo circa.
Dopo un periodo di licenza, in cui trovò il tempo di sposarsi (novembre 1916), tornò in azione. La guerra bianca lo attendeva. La Rivoluzione di febbraio aveva quietato l’immenso Fronte Orientale. Ora le abilità di Rommel erano richieste sulle Alpi. Come ufficiale degli Alpenkorps, si distinse nuovamente durante l’offensiva autunnale del 1917. Quella che per il Regio Esercito fu Caporetto, ovvero una disfatta senza precedenti, per Rommel fu un inno all’abilità tattica-strategica.
Tra l’ottobre e il novembre di quell’anno raggiunse una serie di brillanti successi mettendo in pratica abilità tattiche di infiltrazione lungo le criniere di montagna. Nella battaglia di Longarone e sul Matajur Rommel sbaragliò le divisioni di Cadorna. Nonostante l’inferiorità numerica, malgrado le sole sei mitragliatrici in dotazione al suo plotone, contravvenendo ad espliciti ordini superiori, prese la vetta del monte Matajur. 52 ore di scalate, avanzate e combattimenti permisero a Rommel di fare prigionieri 9.000 italiani. Rese così ancor più aspro il contraccolpo di Caporetto.
Successi e vittorie schiaccianti che gli valsero la medaglia Pour le Mérite, la più alta onorificenza dell’esercito imperiale tedesco. Passò gli ultimi mesi della guerra come ufficiale da campo, non partecipando più a grandi e pericolose operazioni. Terminato il conflitto, divenne capitano, entrando a far parte dell’establishment militare della Repubblica di Weimar prima, del Terzo Reich dopo.