Almanacco del 6 ottobre, anno 1981: durante la parata celebrativa tenutasi al Cairo, un islamista egiziano oppositore del governo assassina l’allora presidente egiziano Muḥammad Anwar al-Sādāt. A nulla serve la corsa nell’ospedale militare di Maadi. I dottori confermano il decesso alle 14:40 dello stesso giorno. Nel referto si legge che la morte è stata causata da un “forte shock nervoso e da un’emorragia interna nella cavità toracica”.
Muḥammad Anwar al-Sādāt era diventato terzo presidente della Repubblica Araba d’Egitto nel 1970 e lo rimase fino al 6 ottobre 1981, data del suo assassinio. Fu uno dei protagonisti della rivoluzione del 1952 con la quale decadde la monarchia alawita a favore dell’instaurazione di una repubblica semipresidenziale. Vicepresidente sotto Gamāl ʿAbd al-Nāṣer, successe al vertice dello Stato dopo la morte di quest’ultimo.
Come presidente, al-Sādāt si distinse dal suo predecessore per un distacco dalla politica terzomondista e neutralista. L’Egitto di al-Sādāt si avvicinò più alle istanze atlantiste e statunitensi, giocando un ruolo di primo piano nelle vicende che contraddistinsero la regione di riferimento, il Medio Oriente. Due gli episodi cardinali della presidenza poco più che decennale: la guerra dello Yom Kippur nel 1973 e gli accordi di Camp David nel 1978.
Sulla prima (di cui vi abbiamo parlato approfonditamente in questo articolo), sebbene poté dirsi inconcludente dal punto di vista militare, si rivelò al contempo un successo politico per gli arabi avversi ad Israele. Sugli accordi di pace di Camp David, firmati nel settembre del 1978 dopo giorni di segrete trattative nel ritiro presidenziale nel Maryland settentrionale, è importante sottolineare come scaturirono una duplice risposta nel panorama politico mondiale. L’Occidente festeggiò l’intesa che precedette il trattato di pace israelo-egiziano del 1979 e che vide i rispettivi capi di stato, per l’appunto Muḥammad Anwar al-Sādāt e Menachem Begin, essere premiati ex aequo con il Nobel per la pace. Diversa fu l’accoglienza della notizia da parte dei paesi ostili a Tel Aviv, i quali additarono l’Egitto di tradimento alla causa araba.
La Lega Araba sospese l’iscrizione dell’Egitto, ripristinando lo status di membro partecipe solo nel 1989. Nel frattempo gruppi gruppi jihadisti, come la Jihad islamica egiziana e al-Jama’a al-Islamiyya, sfruttarono il malcontento proveniente da ampi strati della popolazione egiziana per alimentare la loro propaganda anti-governativa. Un tempo vicini al presidente, adesso gli islamisti chiedevano il suo rovesciamento e la formazione di un esecutivo teocratico. Fallito il golpe militare nell’estate del 1981, al-Sādāt inasprì la repressione a danno delle opposizioni, tanto quelle estremiste quanto quelle parlamentari e democratiche. Sebbene godesse di una popolarità non del tutto compromessa, era evidente stesse attraversando un momento di difficoltà.
Il 6 ottobre 1981, si tenne una parata della vittoria al Cairo per commemorare l’ottavo anniversario dell’attraversamento del Canale di Suez da parte dell’esercito egiziano durante la guerra dello Yom Kippur. In alto volavano i jet dell’aeronautica nazionale, mentre sulla strada sfilavano i camion militari. All’interno di uno di questi si trovava il commando di assassini, capeggiato da Khalid al-Islambuli e Muhammad Abd-al-Salam Faraj. Il primo dei due ordinò all’autista di fermarsi di fronte al palco presidenziale. Una volta sceso si recò di fronte al presidente, il quale (credendo fosse parte dello spettacolo) si alzò per salutare il presunto soldato in divisa. Islambuli lanciò tre granate, di cui solo una esplose, pur non ferendo gravemente nessuno. Dopodiché la squadra di attentatori smontò dal furgoncino e sparò un’intensa raffica di proiettili.
28 feriti e 10 morti, tra cui il presidente al-Sādāt. La Tv di Stato egiziana riprese tutto in diretta. Le immagini fecero il giro del mondo, comparendo nelle edizioni straordinarie televisive e sulle prime pagine di qualunque quotidiano. Scioccarono e inorridirono quella parte di mondo che vedeva in al-Sādāt una punta di lancia contro l’oscurantismo islamista. Al contrario esultò la fazione araba, invocando la rivoluzione in Egitto.
L’attacco durò complessivamente due minuti. Khalid al-Islambuli mente e braccio dietro l’atto terroristico tentò vanamente la fuga. Prima che le forze dell’ordine lo placcassero, riuscì ad urlare “ho ucciso il faraone!“. L’arresto e poi il processo. La corte marziale del Cairo lo giudicò colpevole di omicidio colposo e lo condannò alla fucilazione, eseguita il 15 aprile dell’anno successivo.