Si potrebbe raccontare questa storia in molti modi. Si potrebbe ad esempio far leva morale sull’assurdità colonialista, sottolineare quanto l’Ottocento sia un secolo di per sé strano e imprevedibile o incentrare l’intera narrazione sulle abilità eccelse di Jean Eugène Robert-Houdin, un’istituzione dell’arte magica. Spunti interessanti, bozze valide, ma per questa volta opterò per un approccio molto semplice e lineare. A mio parere è la strada più idonea da intraprendere, perché l’unica in grado di presentare con franchezza e lucidità la stravaganza che si cela dietro l’intera vicenda.
Stravagante non è un aggettivo casuale; esso si può accostare alla carriera professionale di Robert-Houdin fino al 1856, anno in cui si incentra il racconto odierno. Certamente stravaganti furono le basi sulle quali poggiò la rivolta in Algeria che il prestigiatore fu chiamato a mitigare. E in ultima analisi, oltre modo stravagante fu la soluzione pensata dal governo francese per porre fine a quei fastidiosi sommovimenti nell’immensa colonia nordafricana.
Nel 1856 l’imperatore dei francesi Napoleone III dichiarò di voler pacificare definitivamente l’Algeria francese, importante possedimento coloniale dal 1830 (ricordate “quel” ventaglio?). Aveva senso gridarlo ai quattro venti: il piccolo Napoleone (grazie Victor Hugo per questa perla, n.d.r.) aveva molti difetti, ma fu tra i primi a comprendere l’importanza della manipolazione dell’opinione pubblica. Insomma, in Algeria qualche focolaio di rivolta ancora ardeva, nonostante la repressione attuata dai Bureaux arabes (letteralmente “Uffici arabi”, una sezione dell’esercito coloniale composta da orientalisti, etnografi e membri dell’intelligence transalpina). Fautori della ribellione araba erano i cosiddetti Marabutti, i quali si presentavano come la principale fonte di preoccupazione per il Secondo Impero francese.
Nell’ottica delle autorità coloniali, i Marabutti rappresentavano un grande problema, per via delle loro attività sovversive, basate sulla sobillazione e sull’istigazione alla sommossa. Questi, una specie di mix tra capi tribali e santoni della prima ora, riuscivano a convincere i locali anche grazie alla magia. In Francia pensarono bene di combatterli con la stessa pillola. E chi meglio di Jean Eugène Robert-Houdin? Il più rinomato degli illusionisti nel XIX secolo, considerato all’unanimità il “padre della magia moderna”.
Qui, mi perdonerete, ci vuole una brevissima digressione, incentrata sulla vita di Robert-Houdin fino al 1856. Nato il 7 dicembre 1805 a Blois, figlio di un orologiaio e di una casalinga, il predestinato seguì un lineare corso di studi che lo condusse fino alla laurea nell’ateneo di Orléans. Tutti intravedevano in lui la stoffa dell’avvocato, d’altronde non fece mai segreto della sua persuasiva parlantina. Lui invece desiderava una vita più quiete, trascorsa tra meccanismi e lancette. Voleva seguire le orme del padre, divenendo orologiaio. In tutto questo, fin dalla tenera età, portò avanti la sua passione per la prestigiazione. Un hobby tutt’al più, che con l’avanzare dell’età assunse i connotati di una seconda professione.
Già sui vent’anni iniziò ad esibirsi. Tra uno spettacolo e l’altro ebbe la lungimiranza di chiedere aiuto ad alcuni professionisti, apprendendo ad una velocità esponenziale i classici “trucchi del mestiere”. A Parigi Robert-Houdin visse il suo exploit. Unendo una personale propensione all’intrattenimento alle sue competenze, tanto tecnico-meccaniche quanto illusionistiche, il mago natio di Blois si fece ben presto un nome. Non posso qui riassumere tutti i numeri che inventò o che riuscì a perfezionare, perciò mi limito ad un aneddoto: fu lui il primo a sviluppare una sorta di automa scrivente. Un braccio metallico accuratamente preimpostato per scrivere qualunque cosa il mago desiderasse. Oggi la chiameremmo meccanica, un tempo si chiamava magia.
Gli anni d’oro furono i secondi ’40 e i primi ’50. Aprì un teatro; si esibì in tutta Europa; guadagnò stima, fama e denaro, tanto denaro. Nel 1855 decise di appendere cilindro e mantello al chiodo (cosa non vera perché fu il primo a ripudiare il tipico vestiario da mago a favore di un normalissimo e formale dress code). Il governo francese lo richiamò dalla pensione, affidandogli un incarico di vitale importanza: andare in Algeria per dimostrare agli stregoni magrebini come la vera magia fosse quella francese. Attenzione! Nei documenti governativi questa veniva presentata come una missione chiaramente civilizzatrice e non – come potrebbe pensare un comune essere umano nel XXI secolo – una sorta di incarico persuasivo.
Robert-Houdin accettò la “missione magica” di Napoleone III, tuttavia con qualche riserva. Nel suo diario si trova scritto:
«Si convenne che sarei andato ad Algeri il 27 settembre (1856), giorno in cui avrebbero avuto inizio le grandi feste che la capitale dell’Algeria offre ogni anno agli arabi. Devo anche dire che ciò che ha influenzato molto la mia determinazione è stato sapere che la missione […] aveva un carattere quasi politico. […] Non ignoriamo che il gran numero di rivolte […] furono istigate da intriganti che affermano di essere ispirati dal Profeta e che sono considerati dagli arabi come messaggeri di Dio sulla terra, per liberarli […] roumi (cristiani). Ora, questi falsi profeti, questi santi marabutti che insomma non sono più stregoni di me, e che lo sono ancor meno, riescono tuttavia ad infiammare il fanatismo dei loro correligionari con l’aiuto di giochi di prestigio».
Il primo spettacolo si svolse nel teatro Bab Azoun. Informale ed esente di convenevoli, lo show attirò qualche abitante del posto ma poco altro. L’obiettivo era quello di far assistere agli spettacoli del grande Houdin i capi tribù ostili al dominio francese. Ne convocarono – con la forza della persuasione o delle armi, non è dato saperlo – una sessantina per il grande spettacolo finale. Nella fase introduttiva il mago mostrò qualche trucco comune, pur lasciando di stucco parte dei presenti.
Ve ne erano tuttavia alcuni che palesavano apertamente scetticismo di fronte a quelle diavolerie da quattro soldi. Così Robert-Houdin chiese al più robusto dei capi clan di salire sul palco. Egli avrebbe semplicemente dovuto alzare una cassa di legno. Il primo tentativo andò alla grande; l’arabo sollevò senza problemi l’oggetto. Il mago quindi chiese di riporla al suo posto e pronunciò la seguente formula: “Contemplez! Maintenant vous êtes plus faible qu’une femme; essayez de soulever la boîte” – traducibile in “Ecco! Ora sei più debole di una donna; adesso solleva la cassa” (da notare quella nota di sessismo che non guasta mai…).
Il pover’uomo tirò la maniglia della cassa con tutta la sua forza, ma questa non si mosse di un millimetro. Provò e riprovò finché non cercò addirittura di romperla. Niente! Anzi, ad un certo punto urlò di dolore, come se una forza sovrannaturale avesse trafitto le sue membra. Nessuno disse al malcapitato sul palco e agli spettatori esterrefatti che 1) il magnete posto al di sotto del palco teneva giù la cassa, all’interno della quale si trovava una bella calamita piatta; 2) che alla maniglia era collegato un elettrodo in grado di scatenare scosse a comando. Ricordate che stiamo parlando della metà del XIX secolo e che ci troviamo in Algeria; parlare di elettricità equivaleva a discutere di divino astrattismo e spiritismo demoniaco.
Dopo l’esibizione un leader arabo convocò il prestigiatore nella sua tenda per l’alba del giorno successivo. Houdin si presentò puntuale. Il capo tribù chiese un’ultima prova della sua infallibile magia. Detto fatto. L’illusionista chiese ad uno dei ribelli di impugnare una pistola e sparargli dritto nel petto con un singolo proiettile marcato. L’uomo premette il grilletto e l’arma tuonò. Robert-Houdin non solo resistette al colpo, ma aprì la bocca e mostrò ai presenti lo stesso identico proiettile precedentemente marcato stretto tra i denti. Il capo clan si tolse la tunica e ne indossò un’altra, color corallo. Secondo l’usanza tribale, quella tonalità indicava fedeltà al potere costituito. Un chiaro segnale di sottomissione al Secondo Impero.
Jean Eugène Robert-Houdin era riuscito nell’impresa. Secondo delle fonti esterne al mago (perciò provenienti dalla burocrazia coloniale), le autorità francesi presero da parte i Marabutti e spiegarono loro che quella non era magia, intesa come potere soprannaturale, ma scienza al servizio dell’illusione. Stando a quello che asserisce una seconda fonte (sempre esterna ai fatti, perciò non saprei dire fino a che punto attendibile) fu lo stesso Robert-Houdin che, con l’aiuto di un traduttore, rivelò i suoi trucchi di magia ai capi.
Ad oggi non si sa bene quale sia la verità. Ciò che invece risulta essere certo ed innegabile fu il successo che il prestigiatore ebbe in Algeria. Houdin se ne tornò in Francia, scrisse diversi libri sulla sua carriera e si spense il 13 giugno 1871, poco dopo il gigantesco smacco prussiano che, come per magia, cancellò un impero e dalle sue ceneri ne formò un altro.