Lo so, da qualche parte lì fuori ci sono individui che hanno un debole per i fari esattamente come me. Siamo gente strana, ammettiamolo, ma indissolubilmente romantica. Perché il sentimento che ti può suscitare l’incrollabile torre d’avvistamento in balia di una violenta tempesta o la serenità che può trasmettere un imperioso faro saldamente adagiato sul suo scoglio va al di là di ogni comprensibile ragione. Cantato l’inno a queste meravigliose (per me) strutture, voglio gettarmi a capofitto nella storia del Rubjerg Knude Fyr (“faro di Rubjerg Knude” in italiano). Sul perché sia meritevole di un racconto l’avrete già letto nel titolo, ma arriviamoci per gradi.
Eretto tra il 1899 e il 1900 nella regione dello Jutland settentrionale, nello specifico nel circondario di Hjørring, il faro montava 134 lenti Fresnel graziosamente tagliate a mano. La portata del fascio luminoso era di 42 km circa. Per i primi sei anni di vita, il faro funzionò a gas, mentre dal 1906 subentrò l’alimentazione a petrolio. Il mantenimento dell’edificio richiedeva la presenza di tre persone: il guardiano, il fuochista e il suo aiutante. Prima di abbandonare le caratteristiche tecniche – e noiose – dell’intero complesso (termine giustificato dalla presenza di ulteriori edifici affiancati alla torre), lasciatemi sottolineare come il faro disponesse altresì di un imponente corno da nebbia.
Ora passiamo al lato più curioso, almeno a mio avviso, dell’intera vicenda. Quando i costruttori tirarono su l’intero complesso, lo fecero in una posizione considerata ottimale. Il faro sorgeva a circa 200 metri dalla scogliera e soprattutto poggiava le sue fondamenta su un terreno stabile. Gli architetti non potevano prevedere il fenomeno naturale che avrebbe mutato radicalmente il paesaggio di lì a breve. Suddetto fenomeno prende il nome di “deflazione” e indica “l’azione di asporto e trasporto più o meno intensa esercitata dal vento su materiali terrosi e sabbiosi incoerenti. È uno dei principali fattori della corrosione eolica.” (cit. Treccani).
In poche parole una vicina duna sabbiosa iniziò a spostarsi in direzione del faro a partire dagli anni ’10 del Novecento. I locali cercarono di porre rimedio all’azione del vento. Ad esempio installarono barricate in legno di pino per bloccare l’avanzata della sabbia e tentarono, vanamente, di piantare alti arbusti in modo tale da creare una barriera naturale. A ciò si aggiunse la gravosa azione erosiva che lentamente “mangiava” metri e metri di costa. Negli anni ’50 la situazione era così disperata che il corno da nebbia, circondato dalle dune, non risultava essere udibile dal mare.
Impossibile per l’epoca pensare ad una soluzione economica e di rapida attuazione. Si decise dunque di chiudere il faro il 1° agosto 1968. Oblio che durò meno di due decenni, perché negli anni ’80 il faro di Rubjerg Knude visse una seconda vita, nelle vesti di museo. Nel mentre la sabbia continuava a posarsi nei dintorni e a circondare/asfissiare sempre di più l’edificio. Nel 2002 lo si abbandonò nuovamente, visti gli esorbitanti costi di manutenzione. Tuttavia durante questi anni l’area, per via della sua velocissima trasformazione paesaggistica, iniziò a godere di un certo flusso turistico. Il dato del 2005 è incontrovertibile: 250.000 visitatori annui; mica male per un faro sperduto nello Jutland settentrionale.
Ed ecco che arriviamo al colpo di scena dell’intera storia, che rende il Rubjerg Knude Fyr unico nel suo genere. Nel 2018 delle rilevazioni condotte da un team interdisciplinare composto prevalentemente da geologi ed ingegneri hanno evidenziato due aspetti critici, l’uno conseguenziale dell’altro. In primis, il faro si trovava a soli 8 metri dal limitare della scogliera. In secondo luogo, l’erosione della costa avanzava ad una velocità spaventosa, quasi un metro e mezzo ogni anno. Secondo i calcoli, nel 2023 il faro sarebbe inevitabilmente crollato. Come fare?
Kjeld Pedersen, un costruttore di Hjørring, ha convinto il governo con un progetto abbastanza bizzarro, ma efficace sulla carta. L’idea, divenuta concreta realtà nel 2019 con uno stanziamento di 5 milioni di corone danesi (su per giù 670 mila euro), consisteva nel sollevare la torre del faro, alta 23 metri; sistemarla su ruote a loro volta posizionate su supporti longilinei. Insomma, si sarebbe fatto scorrere il faro su di un tracciato lungo 80 metri verso l’entroterra. La Danimarca ha così salvato un vecchio ma affascinante faro: mettendolo su dei pattini a rotelle.