Le tasse aumentano, i prelievi fiscali sono gravosi e mille altre frasi che sembrano riallacciarsi ad un po’ di sano qualunquismo. In realtà, facendo i dovuti tagli, si tratta di un’immagine veritiera e leggermente triste degli ultimi 70 anni circa di storia italiana. Gli stipendi, più che diminuire, nel corso dei decenni sono stati fortemente penalizzati. La tassazione italiana si rivoluziona e porta con sé fette (grosse n.d.r.) degli stipendi.
Ora faremo un simpatico giochino che potrà piacere anche ai detrattori della matematica. Analizziamo quale era lo stipendio medio nel 1960 e a quanto ammonta ad oggi (dati del 2023, chiaramente). Nel primo caso parliamo di 47.000 lire annue, nel secondo 25.522 euro odierni. E siamo italiani, allora quale esempio migliore del costo di un caffè come secondo termine di paragone?
Un tazzina della profumatissima e amata bevanda, negli anni ’60, costava intorno alle 50 lire. Ad oggi, il prezzo medio di un buon caffè è di 1,18 euro (secondo l’ANSA). Allora non ci resta che prendere la calcolatrice e tirare le somme, non solo quelle matematiche in questo caso. Risulterà che 60 anni fa un caffè pesava solo lo 0,0010% sullo stipendio medio annuo, ad oggi invece il risultato è di 0,000039%. Il potere d’acquisto pare dunque fortemente aumentato. Ma tutti saprete (anche a vostre spese) che non è così. Come mai?
Entrano qui in gioco le odiatissime tasse. Se infatti il prelievo fiscale nel 1960 corrispondeva massimo al 15-20% della RAL (Retribuzione Annua Lorda), ad oggi le cose sono molto diverse. Per i lavoratori dipendenti parliamo di un’aliquota che va dal 23 al 43% e che aumenta ancora di più se si parla di autonomi. Chiaramente, parlando in “economichese“, ci sono da considerare anche l’inflazione, la consequenziale perdita di potere d’acquisto della moneta, gli anni delle spese pubbliche spregiudicate e molti altri fattori.
Tornando a qualcosa di più pratico, negli anni del Boom economico e successivi, un professore italiano comprava un utilitaria con poco meno del suo stipendio annuo. Ad oggi invece, complice anche il mercato che vede molto meno city car disponibili, la situazione è drasticamente cambiata. L’offerta di autovetture del segmento A è fortemente diminuita e la sua richiesta anche, considerando che per un auto del tipo ci vuole almeno un anno di stipendio intero.
Ampliando il discorso, anche i generi di prima necessità, il mercato immobiliare, il petrolio e moltissimi ambiti di spesa quotidiani toccano picchi elevatissimi. Al contrario gli stipendi e la tassazione non assistono questi cambiamenti e dunque la situazione è quella sopra descritta. L’introduzione dell’IRPEF e dell’IRPEG nel gennaio del 1974 non aiutarono sicuramente, e il potere d’acquisto degli italiani, intanto, diminuisce, non contando altri prelievi non menzionati in quest’articolo.