Il processo di colonizzazione dell’Irlanda durante il XVI e il XVII secolo è comunemente noto come “The Plantation of Ireland”, letteralmente “Piantagioni dell’Irlanda“. Il termine può trarre in inganno, perché è facile credere si tratti di un processo accuratamente premeditato, organizzato e basato sul raggiungimento di obiettivi a lungo termine. Non fu così, sebbene una volontà generale (quella di assoggettare l’Irlanda o parte di essa) fosse manifesta dalle parti di Londra. Nonostante ciò, la natura frammentaria di questo lento e incoerente processo colonialistico ha profondamente mutato l’anima dell’isola di smeraldo, trasformandola in quello che è oggi.
Nessuno lo direbbe, ma ancora oggi in Irlanda si “pagano” le conseguenze generate dagli eventi cinque-seicenteschi. Si prenda ad esempio la geografia religiosa e politica dell’isola. Sostanzialmente si evince un nord protestante dalle spinte unioniste, che i più riconoscono nell’Ulster e una restante porzione – maggioritaria in termini di superficie ricoperta e popolazione – cattolica e nazionalista: dicesi la Repubblica d’Irlanda. A noi viene quasi naturale vederla in questi termini bipolari, ma prima della salita al trono di Enrico VIII Tudor, re d’Inghilterra (e in seguito sovrano d’Irlanda) dal 1509 al 1547, questa appena presentata appariva come una distopia fatta e finita.
A cavallo tra Quattro e Cinquecento si registrò una svolta decisiva nelle relazioni anglo-irlandesi. Sino ad allora l’ascendente inglese sull’isola era più nominale che effettivo, ma con Enrico VIII la musica cambiò. In primis il famigerato monarca, preoccupato per la presunta minaccia che l’Irlanda rappresentava per la sicurezza di Londra, si fece proclamare signore e re d’Irlanda nel 1534. Se possibile, l’anno andrebbe cerchiato in rosso; fu probabilmente il punto d’inizio (e quindi di non ritorno) dell’aggressiva colonizzazione inglese in Irlanda.
Sono diverse le prospettive che ci aiutano a comprendere l’entità del processo colonialistico. Nell’immaginario dei Tudor, l’Irlanda non era solo una probabile minaccia politica e militare, forse lo era più dal punto di vista confessionale. Quelli erano pur sempre gli anni della rivoluzione teologica intrapresa da Enrico VIII, la stessa rivoluzione che avrebbe ridefinito il panorama religioso in Gran Bretagna (nonché Europa) e avrebbe radicalizzato le relazioni tra le due isole. L’Irlanda restava fedelmente cattolica, mentre Inghilterra, Galles e Scozia si avviavano lungo il cammino del protestantesimo, anglicano o presbiteriano scegliete voi. I presupposti di una reciproca sfiducia c’erano tutti, già da tempo in realtà, ma mai esasperati fino a quel punto.
Con l’intento di anglicizzare e, in pieno spirito britannico, “civilizzare” i gaelici d’Irlanda, i Tudor intervennero prima militarmente, economicamente poi, dalla metà del XVI secolo circa. Colei che per prima diede vita al sistema delle piantagioni dell’Irlanda fu Maria I (1553-1558). La penultima sovrana Tudor, diede avvio all’esperimento delle piantagioni nelle aree corrispondenti alle moderne contee di Laois e Offaly. L’obiettivo dello schema era proteggere il cosiddetto “the Pale”, l’area attorno a Dublino. Non dimentichiamo come la città fosse il centro principale dell’autorità britannica in Irlanda. Si stabilirono due grandi insediamenti a Maryborough (l’odierna Port Laois) e Philipstown (Daingean).
Nel fare ciò, il “grande schema” pianificato a Londra ebbe successo, ma solo in parte. Due erano le direttrici di questa colonizzazione: una pacifica, detta “piantagione esemplare”, in cui i coloni inglesi cercavano di esportare sull’isola di smeraldo il modello agricolo britannico. La seconda, decisamente prevaricatrice, puntava alla confisca forzosa e alla soppressione violenta delle ovvie ribellioni locali. Quest’ultimo modello diede vita a degli insediamenti produttivi militarizzati, richiedenti il sostegno dell’erario inglese piuttosto che delle colonie civili autofinanziate.
Ah, magari ve lo siete chiesti: come è possibile che Maria, cattolicissima sovrana d’Inghilterra, desse vita a questi insediamenti di matrice protestante in una terra cattolica per definizione? Il fatto è che al tempo il pretesto religioso (benché importante, non fraintendete le mie parole) passava in secondo piano rispetto ad un contesto politico ed economico così delicato. Nel frattempo però identità religiosa ed etnica in Irlanda cominciarono a fondersi, fornendo il nucleo di quell’antagonismo che ribollirà tra XIX e XX secolo.
Le piantagioni dell’Irlanda furono molteplici e, benché gradirei analizzare almeno i casi più rilevanti, non ritengo di essere all’altezza del compito per competenze, fonti a disposizione e tempistiche. Dunque mi concentrerò su quella in assoluto più centrale, fulcro dell’intento colonialistico inglese, soprattutto nel Seicento. Sto parlando dell’Ulster, contea a nord-est dell’isola. L’Ulster da sempre era una delle aree più povere, scarsamente abitate e sottosviluppate d’Irlanda. Eppure la geografia le aveva donato una sorta di rilevanza strategica che l’Inghilterra voleva sfruttare a suo favore. La contea settentrionale aveva legami ben consolidati con l’altra sponda del Canale del Nord, in cui vivevano clan cattolici scozzesi ostili alla corona inglese. Assoggettare l’Ulster significava isolare ancor di più i soggetti contrari all’egemonia inglese.
Le piantagioni dell’Ulster orientale sorsero sulle ceneri dei vecchi centri d’influenza gaelica e cattolica, appositamente smantellati a partire dagli anni ’70 del Cinquecento. Sebbene la violenza e l’asservimento dei nativi fossero pur sempre il leitmotiv dell’intero processo, la colonizzazione dell’Ulster procedeva secondo dinamiche diverse. La corona affidò l’installazione delle piantagioni alle corporazioni commerciali di Londra. Fino ad allora la concessione era prerogativa di privati fedeli alla casata regnante. Ecco spiegata la nascita di Londonderry (per chi mastica la storia dei Trubles, il nome non risulterà nuovo…).
Nel nord irlandese i coloni inglesi si resero conto di una cosa: i cattolici erano veramente troppi, impossibile – per il corretto funzionamento/mantenimento delle piantagioni – estrometterli tutti dalla vita politica ed economica della regione. Cosa fare? Promuovere la collaborazione e l’amicizia tra popoli metaforicamente lontani per etnia e religione? Nah, meglio chiamare gli scozzesi presbiteriani e impiantarli nell’Ulster promettendo loro terre, ricchezze e potere in cambio della lealtà alla corona. Ed ecco, in pochissime parole, come buona parte dell’Irlanda settentrionale divenne territorio a forte concentrazione protestante.
Ultimo snodo che voglio affrontare prima di giungere a conclusione riguarda la guerra civile in Inghilterra, la reazione dei cattolici in Irlanda e come questa mutò le sembianze delle piantagioni. La colonizzazione inglese sull’isola andava avanti quasi da un secolo e al 1641, all’indomani dello scoppio delle ostilità tra realisti e parlamentari in Gran Bretagna, i cattolici d’Irlanda controllavano il 59% circa delle terre coltivabili (tuttavia nei territori meno remunerativi e più distanti dalla società che contava).
Vi erano ancora sacche cattoliche nell’Ulster, specialmente nell’ovest della contea. Queste si ribellarono agli inglesi nel 1641 e trucidarono migliaia di vicini coloni protestanti. Gesta che, assieme all’assedio di Derry nel 1689, avrebbero cementato nel sentimento popolare protestante il pregiudizio sulla ferocia e sulle barbarie “tipiche” dei cattolici. Di tutta risposta (ma di questo abbiamo già parlato in un vecchio articolo, questo l’approfondimento) Oliver Cromwell, leader militare e politico della fazione repubblicana che avrà la meglio abbattendo temporaneamente la monarchia, si “vendicò” mettendo a ferro e fuoco l’isola di smeraldo nel biennio 1649-50.
Il piano di Cromwell era tanto essenziale quanto impossibile da realizzare. Egli voleva sgomberare tutti i cattolici presenti ad est di una linea che procedeva dai fiumi Barrow e Boyne. Tuttavia, la mancanza di ulteriori coloni britannici portò i proprietari terrieri protestanti a sostenere che fosse mantenuta una classe operaia cattolica. Di nuovo la segregazione religiosa fu un’idea fondamentale, ma impraticabile, di questa fase. Vero anche che il progetto cromwelliano ebbe (almeno in parte) un certo impatto sulla geografia agricola-produttiva dell’Ulster. L’insostenibilità della situazione costrinse molti latifondisti cattolici a scappare per non soccombere.
Si consolidò così, nella seconda metà del Seicento, la componente protestante nel nord-est dell’Irlanda. Le piantagioni dell’Irlanda ebbero effetti profondi e duraturi. Esse portarono alla rimozione e/o all’esecuzione delle classi dominanti cattoliche, oltre che alla loro sostituzione con quella che divenne nota come Protestant Ascendancy: proprietari terrieri anglicani/presbiteriani per lo più provenienti dalla Gran Bretagna e protetti da una legislazione ad hoc favorevole.
Le piantagioni e il relativo sviluppo agricolo alterarono radicalmente anche l’ambiente fisico e l’ecologia dell’Irlanda. Nel Seicento la maggior parte dell’isola poteva dirsi ampiamente boscosa ed economicamente poco sviluppata, tenendo da parte il business delle torbiere. La maggior parte della popolazione viveva in piccole città semi-nomadi. In tanti migravano stagionalmente verso i pascoli per il loro bestiame. Entro il XVIII secolo i boschi nativi dell’Irlanda erano stati ridotti a una frazione delle loro dimensioni precedenti. Erano stati intensamente disboscati e il legname ricavato venduto a scopo di lucro dai coloni delle piantagioni. Così si intensificavano le iniziative commerciali come la cantieristica navale, poiché gran parte delle foreste inglesi erano state sfruttate fino al totale esaurimento. Tutto ciò in un periodo storico in cui gli inglesi divenivano man mano i padroni del mare con la loro marina.
Le piantagioni dell’Irlanda furono l’inizio di qualcosa che lo storico Francis Stewart Leland Lyons (1923-1983) descrisse come “L’anarchia del cuore e della mente. La collisione di culture apparentemente inconciliabili, incapaci tanto di coabitare quanto di vivere separatamente, intrappolate, anzi, inestricate nei fili della loro tragica storia”.