Almanacco del 20 settembre, anno 1870: “Roma è italiana” recano festanti i giornali in tutta la penisola. Dopo nove anni dalla proclamazione del Regno, finalmente l’Italia ha la sua tanto desiderata capitale. La città eterna, simbolo immortale di italianità che già aveva unificato la penisola duemila anni prima, non poteva che essere il centro sui cui avrebbe gravitato il nuovo stato unitario. Si chiudeva così un cerchio fatto di diplomazia e imprese militari iniziato molto tempo prima.
Già quando il 17 marzo 1861 l’ex Parlamento del Regno di Sardegna aveva proclamato la nascita del Regno d’Italia con capitale Torino era chiaro che il capoluogo piemontese sarebbe stato solamente di passaggio. Pressoché l’intero movimento risorgimentale, infatti, era concorde sul fatto che Roma soltanto avrebbe potuto fungere da capitale. Ma vi era un grosso problema. Un problema chiamato Stato Pontificio. Che di per sé non costituiva una grande minaccia militare, ma disponeva di un grande e potente protettore, la Francia di Napoleone III. La stessa Francia che aveva aiutato i Savoia a sconfiggere le armate austriache e ad annettere la Lombardia, avviando così il processo di unificazione. Un sostegno decisivo, senza il quale il piccolo Regno di Sardegna non avrebbe avuto possibilità. Inimicarsi la Francia, perciò, era impensabile.
E infatti tutti i primi governi dell’Italia unita avevano sempre osteggiato ogni azione militare volta alla conquista di Roma. Già durante l’impresa dei Mille Cavour aveva inviato re Vittorio Emanuele II incontro a Garibaldi per evitare che quest’ultimo, sconfitti i Borbone, marciasse sull’Urbe. Ma l’eroe dei due Mondi non si era dato per vinto e ci aveva provato altre due volte. Una nel 1862, quando fu fermato sull’Aspromonte dalle truppe italiane, e un’altra nel 1867, quando fu sconfitto a Mentana, vicino Roma, dalle truppe franco-pontificie. Era dunque chiaro anche agli animi meno inclini al realismo politico che per avere Roma capitale bisognasse attendere un momento di grave difficoltà per la Francia.
E quel momento giunse come una manna dal cielo all’inizio di settembre del 1870. L’esercito francese, infatti, subì una vera e propria disfatta presso Sedan ad opera delle truppe prussiane. Una sconfitta tanto cocente da lasciare il Paese transalpino nella piena confusione interna. Napoleone III fu deposto a favore di un governo repubblicano, che comunque non riuscì a fermare l’avanzata prussiana. Le truppe di stanza nel Lazio tornarono in patria e così il Papa perse il prezioso scudo protettivo. Il governo italiano non si lasciò assolutamente sfuggire l’occasione.
La mattina del 20 settembre 1870, quindi, partì l’assalto decisivo. Il compito di conquistare l’Urbe fu affidato al corpo dei bersaglieri. Costoro dovettero aprire una breccia all’interno delle lunghissime Mura Aureliane presso Porta Pia, situata a nord-est della città. La leggenda vuole che a dare l’ordine di far partire il colpo di cannone che squarciò le mura fosse stato un ufficiale di religione ebraica, dato che Papa Pio IX aveva minacciato di scomunica chiunque avesse avviato le operazioni militari. In questo modo, i militari di religione cattolica si assicurarono di rimanere nell’alveo dei figli di Dio. Le forze pontificie si arresero quasi senza combattere. Roma diveniva così capitale d’Italia e dopo un millennio terminava il governo temporale del Papa. O quasi.