Nel mondo antico – così come le fonti ce lo presentano – si denota una caratteristica inequivocabile: qualsiasi esercito vantava una forza elitaria in grado di far titubare il nemico sul campo di battaglia. Esempi se ne possono citare a sacchi, come gli Ipaspisti macedoni (hypaspistài), i carri da guerra egizi o i nobili Bastarni, tra i più impavidi, efficaci (e sconosciuti) guerrieri-mercenari della storia. Parlare di guerra antica senza parlare di Roma è un insulto alla decenza. Ebbene anche i Romani avevano i loro fiori all’occhiello: oggi ci concentreremo sulla figura del centurione, il vero nerbo dell’esercito regio/repubblicano prima e imperiale dopo.
Come evidenzierò nel corso di questo approfondimento, il ruolo del centurione evolverà con il graduale mutamento dell’esercito romano. Allora, per iniziare posso dire come il centurione era un ufficiale (o sottoufficiale di più alto rango, dipende dalle fonti) della fanteria legionaria. Militare di carriera, egli aveva sotto il suo comando un’intera centuria. L’origine del ruolo è tuttavia da ricercarsi negli anni della monarchia. Secondo tradizione fu Romolo a dare il primo assetto all’esercito romano. Prendendo appunti dalla falange ellenica creò la legione romana, questo nell’VIII secolo a.C. Dobbiamo crederci? Non ciecamente, ma in mancanza d’altro, ce la facciamo andare bene come informazione. Insomma, questa legione di Romolo vantava 3.000 fanti e 300 cavalieri.
Chi è bravo in matematica avrà fatto già i calcoli: 30 centurioni. Questi gruppi di fanteria da cento uomini circa prendevano il nome di manipolo (manipulus). I manipoli si distinguevano grazie allo stendardo portato in guerra (signa). Ma l’ambiguità per questa epoca così remota regna sovrana. Dionisio di Alicarnasso, il quale scrive nel I secolo a.C., bisogna dirlo, racconta una storia diversa. Secondo lo storico greco il grado di centurione era di origine etrusca. Questo fu incorporato nell’esercito romano durante il V secolo a.C. da Servio Tullio, re etrusco di Roma. Nelle parole di Dionisio “potevano fregiarsi del grado solo i più coraggiosi dell’esercito”.
Quale che sia la realtà, sappiamo con certezza che nel IV secolo a.C. la Repubblica Romana visse uno sconvolgimento dell’assetto militare. I manipoli divennero più flessibili, schierandosi in tre linee di truppe (dette acies triplex). E i centurioni? Beh, in nome di una migliore micro-gestione, un centurione si poneva a capo di 30 fanti. Avvicinandoci all’età tardo repubblicana e la prima epoca imperiale, si devono fare delle considerazioni non secondarie.
Perciò mi dovete concedere una piccola ma necessaria digressione sulla composizione di una tipica legione romana nell’alto impero. Una legione era composta da 10 coorti; in ogni coorte vi erano 6 centurie che, dopo la riforma mariana (fine II secolo a.C.), contavano la bellezza di 80 soldati, anche se in precedenza il numero poteva variare dalle 60 alle 100 unità. A capo delle centurie troviamo il nostro centurione, il quale ambiva per natura al comando di una centuria della prima coorte, la più importante e rappresentativa di tutte.
Ci si aspettava che i centurioni prendessero posizione nel primo rango durante una battaglia, dando così la giusta carica e l’ottimale esempio. Per il morale era una grande cosa, peccato che ciò comportasse inevitabilmente un tasso di mortalità sproporzionatamente alto rispetto agli altri gradi dell’esercito. Ora, se un centurione viveva abbastanza a lungo, poteva assumere la carica di primus pilus, ossia – come velocemente anticipato qualche riga più sopra – il comandante del primo manipolo della prima coorte. Solitamente il primus pilus era il più anziano dei centurioni. Accadeva non di rado che questi occupasse un posto di rilievo nel consiglio militare dell’impero (ricordate Spurio Ligustino?).
Chi poteva accedere al comando di una centuria? Per tradizione tutti, anche un plebeo, ma col tempo (e soprattutto dal I secolo a.C.) il grado si ammantò di una certa esclusività. Stabilendo uno schema generico e chiaramente riassuntivo si può dire come:
- In età repubblicana un soldato poteva essere elevato a centurione tramite elezione o per volontà del senato. Se un legionario aveva dimostrato particolare coraggio o capacità di comando nel vivo della battaglia, i ranghi potevano promuoverlo. Non era necessario essere latino per accedere alla carica.
- In età imperiale la questione divenne meno meritocratica e più politica. Si continuava a diventare centurione per valore dimostrato, ma anche su commissione e in assenza di esperienza militare. Ci furono dei casi in cui l’imperatore nominò personalmente dei centurioni.
Lo si è detto, il ruolo del centurione andò evolvendosi con la maggiore e progressiva complessità del sistema imperiale. Alle mansioni prettamente militari se ne aggiunsero altre squisitamente amministrative. Evoluzione che non possiamo e non dobbiamo inquadrare per forza negativamente. Una miglior preparazione burocratica aprì ai centurioni le porte per cariche prestigiose. Volete un esempio? Potevano aspirare a diventare tribuni o prefetti, addirittura senatori. L’esempio di chi “ce l’ha fatta”, partendo centurione sotto Caracalla e toccando l’apice dell’impero, è forse Massimino il Trace, primo imperatore del periodo che concordo nel definire “anarchia militare” romana.
Al di là dei casi aneddotici e volendo per un secondo fare i bruti, chiediamoci: come era conciato un tipico centurione romano? Lungi dal parlare di un “uniformismo marziale” tipico della concezione contemporanea, si possono tuttavia riscontrare dei motivi caratteristici nel vestiario del centurione. Partiamo dall’elmo, iconico e forse impresso nell’immaginario collettivo. Esso prendeva inizialmente il nome di galea, nome che rimase in uso ma che indicava nello specifico gli elmi in cuoio (si parlava di cassis se di metallo). Sull’elmo del centurione svettava una cresta posta trasversalmente (nota come crista transversa), monocroma o bicroma a seconda dei periodi. È necessaria una periodizzazione anche per quanto riguarda le decorazioni sull’elmo, le quali iniziarono a comparire tra l’epoca giulio-claudia e l’alto impero.
Per il resto del vestiario, non vi erano elementi caratteristici ed esclusivi del centurione. Tendiamo a crederlo per via dei rimandi scultorei, che hanno plasmato la nostra concezione. Neppure qui bisogna citare in causa l’uniformismo per quanto riguarda schinieri, lorica squamata o musculata, calcei e pterugi. Invece un indubbio simbolo del centurionato era la vitis (più propriamente bacillus viteus): un bastone di vite simbolo di autorità, prestigio e ascendenza sui sottoposti.
Persino sull’armamentario il centurione aveva facoltà di scelta. Di solito erano dotati di una spada (enis) e una lancia (hasta). A differenza dei tipici legionari, il centurione aveva il gladio sul lato sinistro, invece del destro. Tuttavia questa è una peculiarità che le rappresentazioni scultoree fino a noi sopraggiunte hanno evidenziato. Ciò non significa che fosse l’ordinarietà.
I centurioni erano noti come severi sorveglianti che non avevano paura di infliggere punizioni ai loro sottoposti. Un aneddoto simpatico per noi, meno per chi lo visse in prima persona, lo riporta Tacito. Lo storico ed oratore romano scrisse di un certo Lucillo, centurione soprannominato dai suoi legionari “cedo alteram” (letteralmente “datemene un’altra”). Il motivo può lasciare sorpresi. Il centurione Lucillo bastonava così spesso e così tanto i malcapitati soldati da spezzare continuamente la sua vitis e urlare “cedo alteram!”.
Essi supervisionavano la costruzione delle fortificazioni dell’accampamento, lo scavo delle trincee e presenziavano gli appelli. I centurioni erano in tutto e per tutto responsabili della sicurezza dei loro accampamenti. Non a caso erano considerati l’élite dell’esercito romano, i migliori tra i migliori. Ciò si rifletteva spesso negli incarichi militari che venivano loro assegnati. Ad esempio i superiori li selezionavano per missioni speciali, come incursioni in territorio nemico e ricognizioni ad alta priorità. Delle contemporanee forze scelte ante litteram.
Tante responsabilità comportano tanti guadagni, tanti guadagni significano tanto prestigio. A riprova di un’equazione tanto semplice quanto efficace concentriamoci per un momento sul sistema di paga che interessava il centurionato. Pur non avendo stime esatte, si ipotizza che durante la tarda repubblica un centurione guadagnasse in media cinque volte quello che percepiva un legionario. Per l’alto impero abbiamo invece qualche fonte più accurata sulle cifre (questo l’articolo di riferimento, inerente la paga di un legionario dopo l’assedio di Masada).
Ecco, in ultima analisi, cosa significava rappresentare l’apice dell’apparato militare romano, la forza d’élite in dovere di dare il corretto esempio. Leali e coraggiosi, spietati e mai domi, i centurioni contribuirono in questo modo a rendere Roma una potenza egemone del mondo allora conosciuto.