Almanacco del 13 settembre, anno 1987: si verifica uno dei disastri nucleari più gravi di sempre, passato alla storia come l’incidente di Goiânia, avvenuto nella capitale dello Stato del Goiás, Brasile. Nell’immaginario collettivo sono ormai radicati i casi di Černobyl’ o Fukushima, emblematici di una tragedia che l’uomo negli ultimi decenni ha cercato sempre di sventare ma che in qualche rara circostanza, vuoi per incompetenza e superficialità, vuoi per mera sfortuna, non ha potuto evitare. Bene, la storia che vi sto per raccontare e che prende avvio nel lontano 13 settembre del 1987 poteva essere scongiurata non una, non due, ma diverse volte. Quando qualcuno si rese conto della gravità della situazione, era già troppo tardi.
Una generica premessa per introdurre una vicenda tanto drammatica quanto grottesca, tanto bizzarra quanto seriosa. La prendo larga, così da creare una lieve ma doverosa atmosfera. Oggi la città di Goiânia conta quasi un milione e mezzo di abitanti. Il processo di costante crescita demografica incominciò tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 del secolo scorso, quando entro i confini cittadini vivevano non più di 130.000 persone. La crescita esige un cambiamento e un cambiamento esige un certo decisionismo da parte dell’amministrazione. Tra le decisioni prese in quei sprizzanti anni, proprio per assecondare l’ascesa demografica, spiccò quella di abbandonare il vecchio ospedale (che per comodità chiamerò IGR, acronimo di Istituto Goiano de Radioterapia) per costruirne uno più moderno.
Per questioni giudiziarie che non sto qui a rivangare, l’operazione andò in porto ma con più perplessità che soddisfazioni. Perché se è vero che una nuova clinica aprì a qualche chilometro di distanza, è altresì vero che il proprietario del vecchio stabile (sentitosi “tradito” dall’amministrazione pubblica e sanitaria) si mise di traverso non concedendo né la restituzione delle attrezzature mediche, né l’accesso all’IGR. Questo nel 1985. L’edificio abbandonato poteva tuttavia rappresentare un’occasione ghiotta per i malviventi della zona, per via dei succitati attrezzi clinici. Così il tribunale optò per una soluzione di comodo: porre un guardiano a sorveglianza dell’edificio.
I responsabili del nuovo ospedale di Goiânia, perfettamente consci della testardaggine del proprietario dello stabile, insistettero – anche dietro la sbarra del tribunale, questo va riconosciuto – sullo smantellamento di almeno un ambiente. Per l’esattezza si trattava di un’unità di radioterapia. L’apparecchiatura non poteva starsene lì, lasciata a se stessa, per via di ciò che conteneva al suo interno e dei danni che avrebbe causato un suo avventato utilizzo.
In quell’unità di radioterapia si trovava un’obsoleta Cesapan F-3000, macchinario di produzione italiana risalente agli anni ’50 ma acquistata dall’ospedale brasiliano nel 1977. L’oggetto per funzionare si avvaleva di un isotopo radioattivo, il cesio-137. Questo, sotto forma di cloruro di cesio, è un composto estremamente dannoso per la salute umana. Contatti prolungati possono causare danni irreversibili. Informazioni che sappiamo noi, ma di cui non era probabilmente a conoscenza il guardiano, che in data 13 settembre 1987 si diede malato e andò al cinema, perché nelle sale del paese usciva Herbie sbarca in Messico. Avete presente il maggiolino tutto matto della Disney? Ecco, quell’Herbie.
Non ridete, ma a causa di Herbie il maggiolino tutto matto il Brasile sfiorò una catastrofe nucleare senza precedenti. Introduciamo due nuovi protagonisti, gli spazzini Roberto Alves dos Santos e Wagner Mota Pereira. I due amichevoli ladri di quartiere si intrufolarono nella struttura abbandonata alla ricerca di oggetti di valore. Nelle loro teste la Cesapan F-3000 era un bottino di tutto rispetto, perciò la presero e la portarono a casa di Roberto Alves. Nell’arco di due giorni tentarono di smontarla e ricavarci qualcosa, ma si presentò un primo imprevisto. Pereira manifestò sintomi come diarrea, vomiti, spossatezza, giramenti di testa. Andò in ospedale per farsi controllare e i dottori diagnosticarono un’intossicazione alimentare. Per quanto la diagnosi fosse errata, in realtà salvò la vita all’uomo, che se ne tornò a casa e non ebbe più a che fare con il macchinario.
Ah, prima che me ne dimentichi: una pustola enorme spunterà sulla mano di Pereira e porterà all’amputazione del braccio. Oltre ciò, tutto ok. Fuori uno, ne resta un altro. Come se la cavò Roberto Alves? Il 16 settembre (quindi solo tre giorni dopo il 13 settembre) Alves lavorò di chiave inglese e cacciavite e alla fine liberò la capsula in acciaio contenente l’isotopo. Forato l’involucro, gli occhi dell’uomo si illuminarono. Quella sorta di polvere granulare azzurra emetteva un bagliore strabiliante, doveva valere per forza un sacco di soldi. Quello che Alves stava osservando ha un nome specifico in chimica nucleare: luce di Čerenkov, ossia una reazione luminescente causata dalle radiazioni beta del cesio-137 a contatto con l’umidità dell’aria. Il nostro eroe vendette tutto il giorno seguente ad uno sfasciacarrozze, tale Devair Alves Ferreira.
Devair Alves, vendendo la luce blu, credette si trattasse di un qualcosa dal valore esorbitante, addirittura un materiale di origine extra-terrestre. Prese la saggia decisione di portare tutto a casa, invitare parenti, amici e conoscenti e distribuirne un po’. Con il resto avrebbe realizzato (chissà come, mi chiedo io) un anello per l’amata moglie. Granelli di cesio-137 finirono così in decine e decine di case. In una, quella del fratello di Devair, una bambina di sei anni giocò tutto il tempo con la sostanza radioattiva, cospargendosi e ingerendola. La piccola morì atrocemente di lì a pochi giorni. Sarà la prima vittima accertata dell’incidente di Goiânia.
Ad accorgersi di una netta correlazione tra la polverina blu e i vari malesseri che iniziavano ad affiorare tra i conoscenti fu Gabriela Maria Ferreira, la moglie dello sfasciacarrozze. Il 21 settembre, forte del sospetto, la donna reperì quanta più polvere e la chiuse dentro un sacchetto di plastica (gesto di importanza capitale, perché alcuni tipi di plastica presentano una notevole resistenza alle radiazioni). Gabriela si recò nell’ospedale più vicino per far analizzare il campione nella busta. Un medico, pur non intuendo l’esatta composizione del materiale, ebbe l’accortezza di sistemarlo all’esterno dell’ospedale, lontano da tutto e tutti. Pensate cosa sarebbe successo se avessero aperto il sacchetto all’interno del pronto soccorso…
Il giorno seguente giunse nel giardino dell’ospedale un perito fisico munito di contatore a scintillazione. L’esperto confermò l’elevata radioattività del materiale. Si comunicò quanto scoperto alle autorità competenti le quali, sotto direttiva del governo, procedettero con rilevazioni a tappeto in tutta Goiânia. Successivamente si passò alla radicale bonifica dell’area contaminata. L’allerta pubblica generò il panico: 112 mila persone presero d’assalto gli ospedali della città. Di queste 246 risultarono contaminate e 20 di loro presentarono segni di sindrome acuta da avvelenamento da radiazioni. Purtroppo in quattro morirono. La bambina di sei anni, Gabriela Maria Ferreira (vera eroina della storia) e altri due dipendenti che tentarono di liberare la capsula dal macchinario.
L’incidente di Goiânia, avvenuto il 13 settembre 1987, è stato classificato con un livello pari a 5 della scala INES, redatta dall’IAEA, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica. Per fare un confronto, Černobyl’ e Fukushima si posizionano al settimo ed ultimo grado di questa scala.