Esattamente per cosa ricordiamo Federico II di Prussia? Beh, per il suo essere un sovrano illuminato, acuto riorganizzatore dello Stato, amante e patrocinatore delle arti. Lo ricordiamo anche per le sue doti poetiche o per i suoi sagaci commenti sulla scena politica europea (in un momento in cui dire “europeo” equivaleva a dire “mondiale”). Ma in pochi, forse pochissimi, rammentano la fortuna sfacciata che salvò in più di un’occasione il caro Federico. Su quella sequela di eventi fortuiti e straordinariamente favorevoli vorrei concentrarmi in questa sede.
Allora, la “sequela di eventi fortuiti” alla quale ho alluso pocanzi porta un nome ben preciso, suggerito – pensate un po’, se ne rese conto anche lui – da Federico il Grande in persona: il “Miracolo della Casa di Brandeburgo“. Egli utilizzò il singolare, ma a ragion veduta sarebbe più corretto parlare di “miracoli”.
Facta non verba, e fatti siano. L’anno del signore è il 1759. La guerra dei sette anni si trascina ormai da un po’ e il piccolo regno di Prussia, incastonato tra giganti quali l’Austria asburgica, la Russia dei Romanov o la Francia del Beneamato Luigi XV, tiene botta. L’unico alleato, l’Inghilterra, è però impegnato a giocare a battaglia navale con i francesi e sul campo offre scarso supporto. Definire “tragica” la situazione della Prussia è dire poco. La battaglia di Kunersdorf (12 agosto 1759) ha sancito il tracollo dell’armata prussiana e il definitivo affermarsi delle macchine belliche austriache e russe. Quest’ultime puntano Berlino, la capitale dell’ex Ducato di Brandeburgo, ora regno autonomo. A seguito della disfatta di Kunersdorf, il re prussiano scrisse:
“Fu una crudele rivalsa! Non le sopravviverò. Penso che tutto sia perduto. Adieu pour jamais…”.
Faceva benissimo a preoccuparsi il sovrano Hohenzollern. I feldmarescialli von Laudon e Saltykov, rispettivamente austriaco e russo, marciavano per assediare Berlino alla testa di 90.000 uomini, contro i neppure 30.000 di Federico (18.000 sopravvissuti a Kunersdorf e poco più di 10.000 della Guardia territoriale). Gli austro-russi attraversarono l’Oder ma quando si trattò di decidere la modalità d’attacco, accadde l’impossibile: i generali litigarono tra loro per delle insanabili divergenze tattiche e strategiche. Uno voleva cogliere “di sorpresa” i prussiani, scatenando piccole e frazionate schermaglie, l’altro preferiva uno scontro campale, pericoloso ma risolutore. Oltre a ciò, ad onor del vero, va riconosciuto che gli eserciti erano stremati da giorni di marcia e, in ottica di un assedio, la questione non era da sottovalutare. Nel settembre successivo von Laudon e Saltykov ordinarono la ritirata. Berlino poteva dirsi salva, Federico ancor di più.
Aspettate però, perché i miracoli, come detto, furono molteplici. Facciamo un salto nel futuro e arriviamo a toccare il lasso di tempo che dal dicembre 1761 ci porta ai primi del 1762. La situazione generale è di nuovo critica, malgrado Federico II di Prussia abbia riportato più di qualche successo tattico. Mentre il supporto inglese iniziava a farsi sentire, Impero zarista e Svezia avevano occupato Kolberg dopo un prolungato accerchiamento durato tre anni. Senza l’ultimo scalo portuale da cui accogliere le scorte britanniche, Federico si sentì nuovamente prossimo alla capitolazione. Faccio ancora affidamento su una sua lettera, che meglio di qualunque mia parola descrive lo stato delle cose:
“Gli austriaci hanno da parte loro Schweidnitz e le montagne, i russi si trovano dietro il Warthe tra Kolberg e Posen… ogni mia balla di fieno, sacco di soldi o lotto di reclute possono giungere solo per gentile concessione del nemico o per sua negligenza. Gli austriaci controllano le colline in Sassonia, gli imperiali fanno lo stesso in Turingia, tutte le nostre fortezze in Slesia sono vulnerabili, così come in Pomerania, a Stettino, a Kustrin e persino Berlino è alla mercé dei russi”.
A ciò si aggiungano i freddi numeri. In cinque anni di guerra, la Prussia aveva perso 120 generali, 1/4 degli ufficiali (circa 1.500 uomini), non meno di 100.000 soldati. Se esternamente le cose andavano male, internamente non miglioravano di certo. La popolazione del piccolo regno desiderava la pace, così come la bramava l’Inghilterra. In extremis re Federico tentò di coinvolgere a favore della sua causa l’Impero ottomano, senza tuttavia riportare validi successi diplomatici. Sembrava essere arrivata la fine, quella vera. Sembrava…
Il 5 gennaio 1762 venne a mancare Elisabetta, imperatrice e autocrate di tutte le Russie. Lo scenario politico-militare mutò sensibilmente, perché Elisabetta di Russia era l’acerrima nemica di Federico, colei che tanto aveva fatto per cancellare la Prussia dalle cartine geografiche d’Europa. La notizia raggiunse la corte degli Hohenzollern qualche settimana dopo. Inutile dire che Federico il Grande esultò alla sua maniera:
“La Messalina del Nord è morta. Morta la Bestia”.
Sul trono dei Romanov sedette dunque il nipote della rimpianta Elisabetta, ossia Pietro III. Quest’ultimo era uno spassionato ammiratore del re di Prussia – che tra l’altro aveva avuto modo di conoscere personalmente – e non ambiva minimamente al suo annichilimento. Il secondo miracolo stava per avverarsi. Con l’esercito dello zar scorrazzante per il Brandeburgo, Pietro III rinnegò la politica anti-prussiana della zia e intavolò delle trattative di pace con Federico. Le medesime si tradussero nel Trattato di San Pietroburgo, firmato il 5 maggio 1762 e con il quale i russi restituivano ai prussiani i territori sino ad allora conquistati e in cambio ottenevano la promessa di non essere attaccati (a chiamarla alleanza si fa prima). Neppure a dirlo, Pietro III si spese personalmente per mediare tra Berlino e Stoccolma. La pace con la Svezia fu siglata due settimane dopo, col Trattato di Amburgo.
Poco importò a Federico che il fan numero uno Pietro III venisse prima detronizzato e poi assassinato qualche mese dopo per volontà diretta della moglie, la zarina Caterina II, la Prussia respirava ed era una grande vittoria dopo le tetre speculazioni del recente passato. Sfiorato il tracollo prussiano, la guerra raggiunse uno strano ma favorevole equilibrio. Degna di nota fu la vittoria di Federico a Burkesdorf, nel luglio del 1762. I prussiani sconfissero gli imperiali di Maria Teresa d’Austria, così facendo velocizzarono i tempi per la cessazione delle ostilità. Questa avvenne l’anno successivo – anche per via dei clamorosi sbandamenti francesi nelle colonie (a proposito, vi consiglio l’approfondimento sulla Nuova Francia) – con il Trattato di Parigi del 10 febbraio 1763.
I miracoli della Casa di Brandeburgo garantirono a Federico di mantenere integro il territorio prussiano, di conservare la ricca Slesia (il possesso della quale fu una delle ragioni alla base degli eventi bellici) e soprattutto di presentarsi al tavolo dei vincitori consapevole di non essere secondo a Maria Teresa d’Austria o alla zarina Caterina II. Con queste qualche anno dopo arriverà a spartirsi la Polonia (articolo in arrivo, stay tuned…), dando avvio all’espansionismo orientale prussiano. Tirando le somme: giustissimo parlare di Federico II di Prussia come uno dei capi di stato più intraprendenti e audaci dell’evo moderno, ma è altrettanto giusto riconoscere come tutto fu possibile grazie ad una dose non indifferente di fortuna, sfacciata e rivoluzionaria.