Con la legge n°1859, del 31 dicembre 1962 si approvava la Riforma della Scuola media unica. Una legge di grande importanza e latrice di profondi sommovimenti e innovazioni nella ondivaga e perennemente cangiante lingua italiana. Si conosce quel periodo come momento di “svecchiamento della lingua” e soprattutto per il grande dibattito tra le principali forze politiche del paese sulla questione del latino.
Nonostante fossero passati ormai 85 anni dall’istituzione della legge Coppino del 1877, la nuova norma firmata dal Ministro della Pubblica Istruzione Luigi Gui si pensava come un naturale proseguo di quel percorso cominciato ormai nell’immediato post-unificazione. Numerose furono infatti le inchieste sul territorio che riportavano problemi e disfunzioni dei sistemi scolastici italiani e il PCI faceva di questo tema uno dei suoi cavalli di battaglia.
Contente solo 25 articoli (pochi per una legge contemporanea) quella di Gui è considerata dagli esperti del settore la maggiore riforma scolastica del dopoguerra. Si basava infatti sul 34° articolo della Costituzione. Questo recita: “La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi“. Lavorando su tale base, la riforma prevedeva quanto a breve diremo.
Importantissimo fu, anzitutto, l’obbligo stabilito per i comuni con più di 3.000 abitanti di costruire o adibire un luogo a Scuola media unica. Inoltre si stabiliva il carattere orientativo che tale grado d’istruzione doveva avere riguardo a chi continuava con gli studi superiori. Le due questioni principali però, come anticipato nel titolo, furono quella dello “svecchiamento della lingua” e il dibattito sul latino. Cominciamo dal primo punto e chiudiamo col secondo.
Mancando un servizio “unico” di istruzione media, la lingua italiana risultava fortemente “regionalizzata” e chiusa in diversissime realtà linguistiche, che variavano anche a distanza di pochi km. Si attuò dunque un procedimento inverso, del quale, già in queste poche righe, noterete i risultati. Facciamo alcuni esempi: 1) scomparve il passato remoto a favore del passato prossimo. 2) L’imperfetto sostituì spesso e volentieri il condizionale presente. 3) ci fu il passaggio dall’uso di “egli” al “lui“. 4) la generalizzazione del “che” polivalente. etc… Provate a rileggere queste righe e vedrete come ormai queste forme siano introiettate in ognuno di noi. Un tempo non era però così.
La questione del latino fu invece un lungo dibattito nelle camere che vide opporsi il PCI con la DC, con un ruolo non secondario del PSI. Il Partito Comunista combatteva accesamente per l’abolizione dell’insegnamento nella scuola media, mentre il PSI manteneva una posizione aperta alla DC, che proponeva un compromesso, come al suo solito, anche sulla questione. Alla fine si stabilì un insegnamento basilare nella seconda classe e uno autonomo nella terza classe. Un prodromo importante fu l’astensione del PSI al voto alla camera che segnalava la futura collaborazione di centro-sinistra a partire dal governo Fanfani IV.