Definire attraverso parole esatte il rapporto che il Regno di Francia ebbe con il Nuovo Mondo tra XVI e XVII secolo non è semplicissimo. Dopo qualche sortita esplorativa nei primi del Cinquecento, fu una croce a dare inizio all’esperienza coloniale francese in Nord America: la croce piantata da Cartier in Québec in nome di Sua Maestà il re Francesco I. La storia che da quella croce prende avvio è la storia della Nuova Francia, l’enorme possedimento coloniale composto da cinque province che si estendeva dalla Baia di Hudson a nord fino al Golfo del Messico a sud, da Terranova ad est fino ai Grandi Laghi ad ovest. Una fascia sconfinata di terre che presto divenne dimora per commercianti di pellicce, cacciatori, soldati e future spose inviate dal Vecchio Continente. Anche se, come è sacrosanto sottolineare, quella era già la casa di qualcuno, leggasi “nativi americani“.
I primi cinquant’anni trascorsi dall’arrivo di Jacques Cartier non furono rose e fiori per i coloni francesi. Sorse qualche avamposto, qualche villaggio abitato stagionalmente, ma nulla di esponenziale. Solo dagli anni ’80 del XVI secolo le varie compagnie commerciali, legate comunque al volere della corona, iniziarono invero a sfruttare le immense ricchezze naturali della Nuova Francia. Tutto ciò mentre si stabiliva un primo approccio con le tribù nomadi delle nazioni Algonchini e Irochesi. Questione spinosa, per via dei differenti risvolti a seconda del caso trattato. Ma se si volesse tracciare una linea generale, non si cade in fallo nel dire che gli esordienti contatti tra coloni europei e nativi furono, se non pacifici, quantomeno all’insegna della reciproca tolleranza.
Nel 1608 un altro esploratore francese pose la sua firma indelebile sullo sviluppo della Nuova Francia. Sotto la spinta di re Enrico IV di Borbone, Samuel de Champlain fondò con successo la prima colonia stabile sul territorio canadese. La città prese il nome di Québec e contò all’inizio non più di 6 famiglie: 28 persone in totale. Precaria fu la prima esistenza della colonia per via del difficile accesso alle risorse circostanti, del conflitto con gli Amerindiani e per via dello scarso supporto che giungeva dalla madrepatria. Una conflittualità che tuttavia sancì un dato di fatto: più i francesi e i nativi venivano a contatto, più tra di loro accresceva un sentimento di interdipendenza. Tutto questo mentre i possedimenti britannici a sud-est godevano di una maggiore e marcata prosperità.
Una svolta si ebbe con il cardinale Richelieu, consigliere di Luigi XIII come ricorderete. Il primo ministro francese si attivò per rimodellare la Nuova Francia sia dal punto di vista demografico, sia da quello economico-commerciale. Queste le sue principali manovre:
- Nel 1627 fondò la Compagnia dei Cento Associati con il compito di incentivare la colonizzazione promettendo ampi appezzamenti di terra ai nuovi insediati e concedendo sgravi fiscali a coloro i quali avessero partecipato al lucroso commercio di pellicce in favore della Francia.
- Proibì l’insediamento ai non-cattolici, obbligando i protestanti ivi presenti alla conversione. Ne scaturì una fuga di questi nelle più tolleranti colonie britanniche.
- Assecondò con ogni mezzo economico disponibile le missioni gesuite in territorio irochese, ottenendo in cambio solo miseri fallimenti.
- Modulò la ripartizione territoriale in senso semi-feudale, con la comparsa dei seigneurs, ossia dei potenti latifondisti.
Si è parlato di interdipendenza non a caso. Nel corso di millenni gli indigeni maturarono una conoscenza eccellente del territorio. Sapevano dove, come e quando muoversi. Eccelsi nella caccia, ancor più nella navigazione fluviale, le nazioni irochesi talvolta furono di enorme aiuto per i commercianti e i cacciatori francesi. Incontri e scontri che nei decenni mutarono radicalmente il paesaggio, l’economia e la vivibilità della Nuova Francia. Dopo la colonia del Canada, fu la volta della colonizzazione dell’Acadia, che avvenne (anche qui con ingenti difficoltà) tra gli anni ’30 e gli anni ’40 del Seicento.
L’assoggettamento delle nuove terre e lo sfruttamento intensivo delle medesime urtò la sensibilità dei nativi. Per quest’ultimi si trattava di una violazione dello status quo naturale e della loro spiritualità (legata a doppio filo con l’ambiente e i fenomeni che lo caratterizzano). Mossi da uno spirito vendicativo, alcune tribù irochesi e huroni si gettavano a capofitto in quelle che la storiografia transalpina ha definito “guerre del lutto“. Azioni di guerriglia motivate da un profondo dolore comunitario. Inutile dire che questi scontri delimitati geograficamente scatenarono un conflitto molto più grande ed esteso, che in alcuni casi intaccò gravemente gli affari commerciali francesi. Alla fine degli anni ’60, l’entroterra della Nuova Francia era equamente spartito tra nativi ostili e coloni francesi coadiuvati da indigeni alleati. Il cambiamento era alle porte e portava la firma di un sovrano sopra le righe.
Cercando di porre la parola fine all’instabilità che contraddistingueva le colonie francesi in America settentrionale, il re Luigi XIV tolse il comando alle compagnie commerciali per appropriarsene. Nel 1663 la Nuova Francia era a tutti gli effetti un dominio della corona. Il Re Sole comprese come un grande punto a sfavore era rappresentato dall’esiguità demografica. Sovvenzionò di tasca propria chiunque si recasse in Nuova Francia, incoraggiando la traversata atlantica, e razionalizzò la suddivisione amministrativa. Tanti degli sforzi del sovrano assolutista trovarono concreta espressione solo in Canada, la colonia di gran lunga più ricca (allora abitata dall’85% della popolazione coloniale complessiva).
Luigi XIV diede un’occhiata anche ai primi censimenti realizzati tra il 1663 e il 1665 e notò come la popolazione maschile fosse il doppio di quella femminile. Ad essere precisi: 2304 la prima, 1181 la seconda. Durante gli anni del monopolio commerciale l’invio di circa 260 donne – le cosiddette “filles à marier” – aveva condotto a qualche risultato. Serviva fare di più. Così il re ordinò a più di 800 ragazze nubili, provenienti dalle aere urbane di tutta la Francia, di cercare marito nel Nuovo Mondo. La strategia delle “filles du roi” (“figlie del re“) funzionò (questo l’approfondimento, se siete interessati) e la popolazione nell’arco di qualche decennio aumentò sensibilmente.
A cavallo tra XVII e XVIII secolo si affermarono due tendenze legate ma contrapposte: da una parte i francesi persero il monopolio commerciale a nord a causa delle interferenze inglesi; di tutta risposta proseguirono l’espansione della colonia seguendo la direttrice sud e sud-ovest. Gli esploratori per conto della corona rivendicarono la sovranità del regno di Francia sulle valli dell’Ohio, del Mississippi, fino al Golfo del Messico. Chiamarono questo vasto territorio Louisiana in onore del Re Sole. Nel 1702, ossia nell’anno in cui la Nuova Francia toccò il suo apice espansivo, la colonia si estendeva per 8.000.000 km². Non fatevi ingannare dai numeri però. Dobbiamo immaginare queste terre come una distesa selvaggia dominata da natura e nient’altro che natura, con qualche sporadico ma strategico fortino sul quale è issata il vessillo dei Borbone di Francia.
Terminate le schermaglie con le coalizioni di inglesi e nativi nel primo quarto di Settecento, il settentrione della Nuova Francia iniziò davvero a prosperare. Con più di 20.000 coloni, nacquero piccole ma vivaci cittadine, così come spuntarono dei rudimentali stabilimenti industriali (principalmente legati al mercato delle pellicce o al settore tessile). Peccato che il miglior momento dell’esperienza coloniale corrispose con l’inizio della fine. Nel 1744 scoppiò l’ennesima guerra con i vicini britannici. Non era come le altre tuttavia. In questo conflitto la Nuova Francia non riuscì a soffocare sul nascere le ambizioni inglesi sulla valle dell’Ohio, che infatti perse ben presto. Si registrò qualche tentativo effimero da parte francese nel rivendicare le terre ad ovest, ma il declino era ormai evidente.
Basta dare un’occhiata ai dati demografici inerenti le colonie tra di loro in competizione per constatate l’estremo dislivello: belli e audaci i 70.000 francesi, ma poco potevano di fronte al milione di anglo-americani (e ugonotti francesi scappati, che pochi non erano). La Francia salutò con rammarico la sua proiezione coloniale in Nord America durante la Guerra dei sette anni. Emblematico in tal senso fu l’assedio e la conquista inglese di Fort Louisbourg. Con il Trattato di Parigi del 1763 la Francia cedette il Canada alla Gran Bretagna.
Sebbene furono 229 gli anni di vita della colonia francese (155 se si inizia il conteggio dal 1608, dalla fondazione di Québec), è indiscutibile il lascito culturale francese nei territori oggi facenti parte del Canada non più provincia, ma Stato indipendente (anche se formalmente membro del Commonwealth). Neppure sotto il dominio britannico gli ex sudditi francesi cambiarono stile di vita. Nelle parole dello storico Jacques Mathieu: “quelli che un tempo furono gli abitanti della Nuova Francia rifiutarono l’assimilazione e affermarono la loro esistenza. Protetti dalla loro lingua, religione e istituzioni, concentrati in un’area geografica limitata, difficile da penetrare, svilupparono uno stile di vita, costumi sociali e atteggiamenti propri”.
Chi invece non poté preservare allo stesso modo la propria identità furono i nativi americani, vere vittime del gioco coloniale europeo. Così nelle Americhe, così nel resto del globo terracqueo.