Il fenomeno del Tuchinaggio rappresenta una delle più grandi sollevazioni dell’Italia medievale, avvenuta nelle alpi occidentali, specificamente nel territorio del Canavese. Durante il Basso Medioevo, tutte le rivolte più importanti avvengono nella seconda metà del ‘300. La spiegazione dietro allo scoppio di tutto questo malcontento non va però ricercata nei fattori di crisi che caratterizzarono questo secolo. Ricordiamoci che la tremenda peste nera aveva dimezzato la popolazione europea, lasciando ai superstiti molte più risorse di cui godere. La drastica riduzione demografica aveva garantito un aumento dei salari e un generale innalzamento della qualità della vita.
Infatti, non è quando si muore di fame che ci si ribella (o meglio, non sempre) ma quando le cose vanno meglio che si acquisisce maggiore consapevolezza dei propri diritti. E la rivolta dei Tuchini ne è un buon esempio. Cosa avvenne? Prima di entrare nel merito della rivolta vera e propria, affrontiamo prima la questione del nome che prese. Perchè i rivoltosi si chiamano Tuchini? In merito a questo interrogativo, abbiamo a disposizione varie ipotesi, anche se nessuna certa.
Ad esempio in Piemonte, dove l’insurrezione ha lasciato forti tracce nella memoria collettiva e nella stessa identità canavesana, ci si è compiaciuti spesso che il nome derivasse dal dialetto piemontese; tuch un, tutt’uno, tutti insieme. In realtà, l’interpretazione più accreditata associa il nome alla rivolta scoppiata in Francia poco prima, chiamata appunto tue chiens, “ammazza cani”. Qui i ribelli avevano già iniziato un’insurrezione uccidendo i cani dei signori locali.
Dall’XI secolo, il Canavese aveva visto l’affermarsi di alcuni casati nobiliari, che in poco tempo rivendicarono il possesso sull’intero territorio. Presto assunsero i titoli di “Conti di Valperga”, “Conti di San Giorgio” e “Conti di San Martino”. Il Tuchinaggio si configura proprio come la ribellione della popolazione soggetta ai signori del canavese e dei liberi comuni contro i nobili. I Valperga e i San Martino erano alle prese con una feroce rivalità, della quale a farne le spese erano ovviamente i borghigiani dei piccoli centri soggetti ai conti. Le milizie della parti in lotta tendevano infatti ad assaltare e depredare questi ultimi, fino a che questa situazione divenne intollerabile.
Quando le schermaglie tra Valperga e San Martino arrivarono al culmine, la popolazione decise di unirsi in una lega e fece appello al Conte Amedeo VI di Savoia, colui che aveva giurisdizione sui territori canavesani. Si può dire il Conte Amedeo si comportò in modo maldestro. Egli accordò concessioni e miglioramenti, ma fece l’errore politico di porre pesantissime sanzioni pecuniarie alla comunità, per l’atto sovversivo di aver costituito una lega. Così nell’inverno del 1386, le comunità scontente iniziarono un’aperta ribellione indirizzata soprattutto contro i Valperga.
Contrariamente ad altre rivolte trecentesche, come le Jacqueries, le azioni di sangue furono relativamente poche. L’avvenimento maggiormente degno di nota fu l’espulsione dalle loro dimore di tutti i conti canavesani. La risposta militare del conte sabaudo non ebbe effetti, e il conflitto si risolse a partire dal 1389 grazie all’intervento di Gian Galeazzo Visconti. Le punizioni contro i comuni canavesani furono piuttosto blande. A essi venivano condonate le ammende precedenti, inoltre non avevano più l’obbligo di prestare servizio nelle milizie nobiliari e avevano il diritto di appellarsi al sovrano nel caso avessero subito dei torti dai feudatari.