Almanacco del 19 agosto, anno 1920: scoppia la ribellione di Tambov, una delle più grandi rivolte contadine in grado di sfidare il potere bolscevico in una Russia afflitta dalla guerra civile. La ribellione ebbe luogo nell’Oblast di Tambov (giungendo anche nella vicina regione di Voronezh), circa 500 km a sud-est di Mosca. I disordini si protrassero fino alla metà del 1922, quando l’Armata Rossa soppresse definitivamente anche le più piccole sacche riottose, di tanto ridimensionate tra l’estate e l’autunno del 1921. Le cifre – sommarie e poco accurate – sono indicative della violenza e della tragicità che contraddistinsero l’evento storico: all’incirca 15.000 morti e poco meno di 100.000 arresti.
Spesso si tende ad associare episodi simili ad una persona, un simbolo, un leader. La ribellione di Tambov nella storiografia sovietica è nota come Antonovschina, letteralmente “ammutinamento di Antonov”. Alexander Stepanovich Antonov (1888-1922), esponente di spicco dei socialisti rivoluzionari di sinistra, fu a tutti gli effetti il capo della grande rivolta contadina. La sua figura merita una breve ma esaustiva digressione. Da sempre avverso all’autocrazia dei Romanov, nel 1904 il sedicenne Antonov venne condannato a 20 anni di carcere duro dopo aver attentato alla vita di un generale zarista all’interno di un treno. Con la Rivoluzione di Febbraio e la formazione del governo provvisorio, ottenne l’amnistia e poté tornare in libertà. Dunque si diresse nel distretto di Tambov, terra alla quale era legato per motivi familiari.
Antonov assunse il comando delle milizie governative locali, dichiarando la corte marziale nella città di Kirsanov in accordo con il soviet. Il rapporto con i bolscevichi andò tuttavia deteriorandosi in pochi mesi. I contadini nell’Oblast di Tambov (la maggioranza della popolazione in un territorio quasi del tutto rurale, salvo poche eccezioni urbane) inizialmente sostennero la Rivoluzione d’Ottobre nonché la leadership di Lenin. Quando cominciarono a venire meno le promesse sulla tanto attesa legge agraria, il malcontento si fece strada tra i braccianti. Come se non bastasse, la ratifica del Trattato di Brest-Litovsk e il comunismo di guerra peggiorarono una situazione già di per sé delicata. I soviet locali cacciarono le delegazioni bolsceviche, supportando quasi all’unanimità i socialisti rivoluzionari. Antonov cavalcò l’onda del dissenso e anzi se ne fece principale portavoce.
Quest’ultimo per quasi tutto il 1919 si rifugiò nella foresta, mettendo in piedi una sorta di milizia personale. Attraverso la medesima, composta da fuoriusciti dell‘Armata Rossa, socialisti-rivoluzionari e contadini scontenti, assassinò diversi attivisti e funzionari bolscevichi. Nell’estate del 1920 Antonov incrementò le sue forze fino ad un totale di 6.000 uomini. Il 19 agosto nel villaggio di Khitrovo i contadini si ribellarono agli esattori del grano per l’approvvigionamento statale. La dinamica dei fatti cambia a seconda della fonte ma è certo che si giunse ad uno scontro armato. La notizia viaggiò rapidamente nei villaggi limitrofi e i disordini divamparono in un batter d’occhio. Le forze bolsceviche dovettero ritirarsi nella capitale del governatorato: Tambov.
I contadini guidati da Antonov marciarono fino alle soglie della città, chiedendo essenzialmente tre cose: l’abolizione del divieto sul libero commercio e sulla libera circolazione delle merci; lo stop alle requisizioni forzate e lo scioglimento della Čeka. Al contempo gli insorti riuscirono ad organizzarsi nell’Unione dei contadini lavoratori (Союз Трудовых Крестьян, abbreviato in “STK”). Una novità senza precedenti: per la prima volta una ribellione simile poteva vantare una rappresentanza pseudo-associativa e sindacale. L’Unione arrivò anche a proclamare la Repubblica democratica provvisoria della regione partigiana di Tambov. Essa adottò la bandiera russa pre-rivoluzionaria ma evitò qualunque richiamo alla monarchia. Importante sottolineare come gli uomini di Antonov non fossero in alcun modo legati ai cosacchi, che invece rimpolpavano le fila dei controrivoluzionari.
Persino dal punto di vista strettamente militare gli uomini di Antonov furono in grado di strutturarsi, ovvero si diedero una forma quanto più prossima a quella di un esercito regolare. Nelle aeree in cui i ribelli presero il controllo, decaddero tutte le istituzioni sovietiche. Entro l’ottobre del 1920 i bolscevichi controllavano la sola città di Tambov in tutto il governatorato. Le fila dell’esercito insorto toccò in novembre le 50.000 unità.
All’alba del 1921 la musica cambiò in favore dell’Armata Rossa. Con la conclusione della guerra sovietico-polacca e la vittoria sui bianchi di Wrangel in Crimea, Mosca rivolse tutte le sue attenzioni su Tambov. Lenin incaricò il generale Mikhail Tukhachevsky dell’abbattimento della rivolta. Forte di circa 100.000 uomini, carri armati e mezzi blindati, Tukhachevsky raggiunse lo scopo della missione entro la fine dell’estate, avvalendosi anche di armi chimiche reperite dalle scorte della Grande Guerra. In autunno rimasero non più di 5.000 riottosi, nascosti tra le foreste e le paludi. Tutti i leader della ribellione scoppiata il 19 agosto 1920 erano deceduti, tutti tranne Alexander Antonov e suo fratello. I due trovarono la morte il 24 giugno 1922, uccisi in combattimento nei pressi del villaggio di Nizhni Shibriai.