Dolorosa e sconfortante, con questi due aggettivi si può riassumere l’esperienza odontoiatrica nel periodo medievale. Questa rifletteva a pieno le limitate conoscenze mediche e le esigue risorse dell’epoca. A differenza di quanto accade oggi – frutto del progresso medico-scientifico scaturito in pieno Settecento – nel Medioevo l’assenza di
anestetici e moderne tecniche di sterilizzazione rendeva le procedure odontoiatriche un pelino desolanti (per non dire altro…). A praticarle non erano “dentisti” propriamente detti, anche perché non esistevano – il primo a utilizzare questo termine sarà il francese Guy de Chauliac, su cui tra poco tornerò. Era più corretto parlare di barbieri chirurghi o, se preferite il volgare, cavadenti. Su di essi ed il loro modus operandi voglio concentrare il mio e il vostro focus.
Incrociando le informazioni che siamo riusciti a ricavare dalle sparute fonti altomedievali, si può offrire qualche spunto di riflessione. Le persone si prendevano cura dei loro denti utilizzando metodi primitivi ma efficaci per mantenere l’igiene dentale. Aiutavano sostanze abrasive come menta, sale e pepe per pulire i denti. Un po’ come l’odierno dentifricio, ecco. Sfatiamo subito il mito dell’uomo dell’evo di mezzo con i denti sempre marci. Sebbene egli non comprendesse a pieno il concetto di placca dentale, riusciva comunque a mantenere un’igiene orale quantomeno accettabile. Casi disperati non mancavano, sarebbe scorretto ignorarlo. Colpiti in egual modo (se non di più) dal malanno ai denti erano i ricchi, golosi consumatori di zucchero e dunque più esposti a problematiche dentali.
Il quadro generale così delineato non tiene conto di chi i problemi ai denti doveva risolverli. Sì, ma di chi stiamo parlando? Allora, dal Tardoantico fin tutto l’Alto Medioevo, ad occuparsi di denti e medicina furono monaci e preti. Essi operavano in modo rude e spartano, contando sull’assistenza dei cosiddetti “barbieri chirurghi“. Ma tonaca talare e pinze non andavano d’amore e d’accordo, almeno secondo il vertice della santa chiesa romana. Tre concili (lateranense II, 1139 – Tours, 1163 – lateranense IV, 1215) stabilirono che:
- Se un chierico si dedica a suddetta mansione incorre in salate e spiacevoli sanzioni.
- Ecclesia abhorret a sanguine, la Chiesa rifiuta il sangue; gli interventi chirurgici sono assolutamente incompatibili con il sacerdozio.
- Medici in abiti clericali non possono esercitare il mestiere chirurgico perché l’eventuale (e probabile, aggiungo io) morte del paziente svierebbe l’uomo di chiesa dal suo compito principale: salvare le anime.
Arrivati a questo punto resta solo il barbiere chirurgo, che per distaccarsi dal barbiere semplice, dà vita ad una corporazione. Uno specialista (ma neppure troppo) che opera all’interno di un bagno di sua proprietà o in affitto. Chiaramente questo barbiere/dentista non conosce le opere di Paolo d’Egina (VII sec. d.C.) o il più vicino Guglielmo da Saliceto (XIII sec.). Non mastica neppure l’arabo – per favore, non ridete… – perciò non può comprendere la sofisticata arte medica-dentistica dei vari Avicenna e Abulcasis, maestri nell’otturazione dentaria, del trapianto e della stomatologia.
Grandi nomi, grandissime idee, ma è impossibile non chiamare in causa, per contesto e disciplina analizzata, Guy de Chauliac. Vicinissimo agli avanzamenti della Scuola Medica Salernitana, e in particolar modo alle ottime intuizioni del parmigiano Rogerio Frugardi, de Chauliac è considerato uno dei padri dell’odontoiatria medievale. Ma ho appena sottolineato che il barbiere/dentista di Magonza, Troyes o Ferrara di questi nomi e di queste trovate se ne faceva ben poco. Dunque giù di tenaglie a pellicano o semi di giusquiamo bruciati, da cui si inalava il fumo (tossico) per stanare i temutissimi (ed inventati) minuscoli “vermi del dente”.
Il più delle volte si andava dal cavadenti di turno (che dal 1331 secondo un’ordinanza della Santa Sede doveva possedere un titolo per operare…), si teneva in bocca una miscela di acqua e sostanze contenenti arsenico – in teoria per alleviare il dolore, in pratica per morire prima e non di mal di denti – e poi si pregava il Signore che il pellicano non spaccasse gli altri denti oltre a quello da estrarre o che non frantumasse addirittura la mascella.
Eh sì, brutta storia vero? Però ora è il turno della morale finale, con la quale posso concludere in tutta armonia. Nonostante l’altissima soglia del dolore e il rischio di infezioni plurime, pratiche del genere hanno gettato le basi per l’odontoiatria moderna e poi contemporanea, che fortunatamente ha fatto notevoli progressi in termini di comfort ed efficacia.