Fotografia di Nadar (al secolo Gaspard-Félix Tournachon), catacombe di Parigi, 1862. Per la prima volta, il sottosuolo della Ville Lumière si mostra in tutta la sua spettrale essenza, grazie all’obiettivo e all’inventiva di Nadar, fotografo parigino classe 1820. Egli fu il primo tra i suoi colleghi a calarsi nella realtà oscura, ma non per questo meno affascinante, delle catacombe di Parigi. Gli scatti che immortalarono quell’ambiente sinistro nei primi anni ’60 del XIX secolo scrissero pagine storiche di questa meravigliosa arte.
Nadar rimase folgorato dalla catacombe parigine, nonostante fosse uno che amava fotografare le cose dall’alto (assoluto pioniere della fotografia aerea). Nel 1862 si gettò in questa impresa, rimasta intentata fino ad allora: immortalare la Parigi sotterranea, ma con un tocco “speciale”.
È la seconda metà dell’Ottocento e scattare delle fotografie ottimali in un ambiente tenebroso è pressoché impossibile. Non per Nadar, che sta mettendo in pratica una tecnica da lui inventata. Illuminazione artificiale attraverso la combustione istantanea della polvere di magnesio. Un flash manuale da dover coordinare con lo scatto della macchina fotografica. Difficile a dirsi, figuriamoci a farsi. Ma a Nadar la bravura non mancava di certo e le fotografie scattate nelle catacombe della capitale francese lo dimostrano.
Negli scatti, rivoluzionari per il tempo, si nota come la luce artificiale vada a penetrare l’oscurità degli spazi angusti. Il chiaroscuro che ne deriva è magistrale e il macabro delle ossa risalta come mai prima d’ora. Se ci facciamo caso, buona parte delle fotografie scattate nel sottosuolo parigino sembra avere per protagonisti degli operai, o comunque delle persone intente a lavorare.
Anche qui vien fuori il genio di Nadar. Ricordiamo nuovamente l’epoca in cui ci siamo catapultati; le fotografie richiedevano un tempo di posa prolungatissimo, fino a 20 minuti. Nessuno si sarebbe prestato per un sacrificio simile, a maggior ragione in spazi claustrofobici e terrificanti come quelli gentilmente offerti dalle catacombe. In virtù di ciò, il fotografo utilizzò dei manichini come soggetti.
Non erano trascorsi tantissimi anni dai decreti del 1787, con i quali si vietava di seppellire nei cimiteri interni alla città e/o sfruttare come cava di calcare, gesso e argilla i 100 km di circuito artificiale. Con l’avvento del XIX secolo i parigini iniziarono a svuotare le aree sepolcrali in superficie, trasferendo le ossa nel sottosuolo. Nel giro di qualche anno vennero accumulati resti umani per più di un chilometro e mezzo, dando modo ad un genio del calibro di Nadar di immortalare scene mozzafiato.