Fotografia di Hans Runesson, Växjö, Svezia, 13 aprile 1985. Conoscete la ridente città svedese di Alingsås? Non che ci sia molto da vedere oltre gli stabilimenti tessili tardo settecenteschi ancora in piedi e qualche sito d’interesse archeologico risalente all’Età del Bronzo. Bellissimi sono i parchi della città, curati e coloriti, in pieno stile scandinavo insomma. In uno di questi ci si può imbattere in una statua decisamente curiosa. Essa raffigura una signora di mezza età che, in un moto slanciato e deciso, sembra intenta a colpire qualcuno con una borsa. Ecco, quella statua rende onore ad una donna passata alla storia come “Kvinnan med handväskan“, letteralmente “La signora con la borsa“.
L’opera scultorea è cara alla cultura popolare svedese per via di una fotografia scattata oramai 39 anni fa. Dietro l’obiettivo in quel soleggiato aprile 1985 si trovava il fotografo Hans Runesson, ma la scena se la prese – in grande stile permettetemi di dire – Danuta Danielsson.
Il 13 aprile del 1985 un gruppo di sostenitori del Nordiska rikspartiet (lett. Partito del Regno Nordico) – una formazione partitica di estrema destra nostalgica del nazionalsocialismo discioltasi nel 2009 – si accordarono con le autorità cittadine di Växjö per una contromanifestazione legata ad un comizio tenuto dal Lars Werner, leader del Partito Comunista di Sinistra, nel centro storico quello stesso giorno. Chiaramente le due fazioni giunsero allo scontro, fisico e verbale.
Tenuto conto di un simile contesto, durante la sbandierata programmata dai fanatici di estrema destra, Danuta Danielsson, 38enne ebrea di origini polacche, decise di entrare di diritto nella storia della fotografia. Stringendo con la mano destra il manico della sua borsa, scagliò l’oggetto contro la nuca del giovane militante, nonché skinhead, Seppo Seluska. Il fotoreporter Hans Runesson non si fece sfuggire l’occasione, immortalando l’episodio. La fotografia de “La signora con la borsa” finì sulla prima pagina del quotidiano svedese Dagens Nyheter. Il 15 aprile venne riproposta dai britannici The Times e The Daily Express. Un successo globale per il fotografo, ma non per la signora, di cui non si è conosciuta l’identità sino ai primi anni del nuovo secolo.
Danuta agì in quel modo, apparentemente impulsivo e perciò fuori controllo, per ragioni fondate, anzi, fondatissime. Nata in una famiglia ebrea, la 38enne dovette sopportare atrocità durissime durante l’Olocausto. La madre, ad esempio, fu deportata in un campo di sterminio in Polonia (forse Auschwitz o molto più probabilmente Majdanek), sopravvivendo per miracolo all’inferno concentrazionario.
La botta sulla nuca del ragazzo assumeva i connotati di un rimprovero, non tanto di una vendetta. Un richiamo all’ordine, un monito su quello che fu e che non doveva assolutamente ripetersi. Dopo l’evento la signora Danielsson optò per l’anonimato, temendo rappresaglie sia penali che extragiudiziarie (comuni erano gli assalti organizzati da bande di estremisti).
La riservatezza sull’identità della signora durò per più di tre decenni. Solo nei primi anni ‘2000 si rivelò al mondo il ruolo di Danuta in quel 13 aprile 1985. A tre anni dall’accaduto, la Danielsson si tolse la vita. Frequenti erano gli attacchi di panico e collera dovuti ad una conclamata instabilità psichica. Uno di questi le fu fatale. La Svezia e il mondo non la dimenticheranno mai, anche e soprattutto grazie alla magia della fotografia.