Almanacco del 25 luglio, anno 1978: per la prima volta nella storia dell’umanità, nasce una bambina grazie alla fertilizzazione in vitro. Louise Joy Brown, questo è il nome della neonata che farà il giro del mondo e sarà per qualche mese al centro di tantissimi dibattiti etico-scientifici, nonché sociali e religiosi. In quel giorno si scrisse una delle pagine più importanti della storia contemporanea. Si diede speranza, anzi, “gioia” (Joy non è un nome casuale) a tutte quelle coppie impossibilitate, fino ad allora, ad avere figli.
Alle 23:47 del 25 luglio 1978 il mondo accolse – senza che nessuno lo sospettasse in realtà – Louise Brown, la prima “bambina in provetta”. Vista la portata dell’evento, per rispettare la privacy dei genitori John Brown e Lesley Whiting, si decise di non comunicare nulla, almeno in un primo momento, alla stampa. I giornalisti erano a conoscenza della gravidanza e nei mesi precedenti in più di un’occasione avevano manifestato una certa invadenza. Si riuscì fortunatamente a non far trapelare l’eventuale data di nascita della bambina e a permettere ai coniugi Brown di godersi davvero il momento.
A permettere quel miracoloso parto furono il biologo Robert Edwards (premio Nobel per la medicina nel 2010) e il ginecologo Patrick Steptoe. Furono loro a trasformare in tangibile realtà una tecnica molto dibattuta sotto quasi tutti i punti di vista: etico, religioso, filosofico, sociale, persino politico. Tra i meno diffidenti aleggiava l’idea che la fecondazione assistita fosse inconcludente. Molto più severo era il giudizio degli incrollabili scettici, i quali credevano che il FIVET (fecondazione in vitro con trasferimento dell’embrione) avrebbe generato mostri, danneggiando irrimediabilmente la salute delle madri. Quel 25 luglio 1978, nell’Ospedale generale di Oldham, a nord-est di Manchester, la scienza prevalse sull’oscurantismo degli ignoranti.
Il giorno dopo i giornali poterono pubblicare la notizia. La “bambina-miracolo” fu sulle prime pagine di tutto il globo. Divenne di dominio pubblico la storia di coniugi Brown, i quali non erano riusciti a concepire un figlio in 9 anni di tentativi a causa di un problema alle tube di Falloppio di Lesley. Enorme fu la spinta data dalla nascita alla disciplina bioetica e ad una sua maturazione.
Allo stesso modo importantissimo fu il contributo involontario di Louise Brown nei confronti dello sviluppo di nuove tecniche e tecnologie biomediche. D’altronde il traguardo tagliato in quel giorno di piena estate del ’78 era il soddisfacimento di un desiderio trentennale, quello di dare speranza a chi sembrava averla oramai persa. Anche per questo Edwards e Steptoe, dopo il parto cesareo programmato, si permisero di consigliare alla coppia il secondo nome “Joy”, ossia “gioia”.
Oggi l’ex “bambina in provetta” è una donna di 46 anni, è sposata ed ha due figli, concepiti senza interventi medici. Louise Brown è una paladina della ricerca scientifica e si spende costantemente per sensibilizzare su un tema a lei vitale, letteralmente. Ha una sorella minore, Natalie, anche lei venuta al mondo grazie alla procreazione assistita. Furono le prime, certamente, ma non le sole. Dal 1978 ad oggi si calcolano quasi 10 milioni di nascite permesse da tecniche di fecondazione assistita. In Italia all’incirca 217.000.