Almanacco del 23 luglio, anno 1951: alla soglia dei cento anni si spegne il generale francese Philippe Pétain. Forse sconosciuto ai più, si tratta di una figura assai controversa, ma centrale per la storia francese della prima metà del Novecento. Generale pluridecorato, orgoglio nazionale e traditore infame. Pétain nel corso della sua lunga esistenza riuscì ad essere tutte e tre queste cose.
Originario dell’Alta Francia, nacque nel 1856 presso la cittadina di Cauchy-à-la-Tour in una famiglia contadina. Intraprende l’Accademia militare molto giovane, senza eccellere particolarmente. Iniziò in sordina la propria carriera all’interno delle Forze Armate francesi, scalando lentamente le gerarchie. Lo scoppio della Grande Guerra gli permise di mostrare il suo valore.
Si distinse al comando di alcuni battaglioni in Belgio e nel 1916 si trovò a combattere nella vorticosa furia di Verdun. La celebre battaglia vide contrapposti francesi e tedeschi, con questi ultimi intenti a condurre una poderosa offensiva con l’obbiettivo di dissanguare i nemici. Pétain si rese protagonista di un’eroica resistenza, tale da riuscire a fermare l’avanza tedesca. Il successo lo consacrò definitivamente, soprattutto fra le truppe. Ebbe poi numerosi altri incarichi durante il conflitto, aumentando sempre di più la sua importanza all’interno del comando alleato sul Fronte Occidentale.
Al termine della Prima Guerra Mondiale, ricevette dal presidente della Repubblica Raymond Poincaré l’onorificenza di Maresciallo di Francia. Essa costituiva la più alta distinzione militare nella Francia di allora. Pétain venne consacrato ad eroe nazionale e diviene uno dei simboli della sofferta vittoria francese. Nel 1934 fu brevemente ministro della Difesa del gabinetto Doumergue e successivamente entrò a far parte del Consiglio superiore di guerra.
Ma ecco come all’apice della fama si possa incrinare tutto, arrivando ad infangare il proprio nome per sempre. Nel 1939 la dichiarazione di guerra di Francia e Gran Bretagna alla Germania aprì le danze del Secondo conflitto mondiale. Dopo otto mesi di sostanziale stasi sul fronte occidentale, nel 1940 le armate tedesche attaccarono penetrando nelle difese francesi come un coltello nel burro. La situazione era ormai disperata e non rimaneva ormai altra alternativa se non quella di chiedere l’armistizio. Il capo del governo Paul Reynaud individuò in Pétain la figura migliore per condurre le trattative con Berlino. Reynaud, dunque, si dimise, lasciando il suo posto al generale.
L’accordo sottoscritto con i tedeschi prevedeva, tra le altre cose, la divisione del territorio francese in due aree. Una, a nord e lungo tutta la costa atlantica, sotto occupazione tedesca, e un’altra sotto la direzione di un “libero” governo francese, la cui sede fu posta nella cittadine di Vichy. A capo di questa nuova entità statuale transalpina fu posto proprio Pétain. Dello Stato di Vichy abbiamo già trattato in un precedente articolo, evidenziandone le responsabilità nell’organizzazione della macchina della Shoah e dei crimini nazionalsocialisti.
Quel che preme qui evidenziare è la compromissione con esso di Pétain. Il pluridecorato eroe di guerra, orgoglio nazionale, chinò ignominiosamente il capo al detestato occupante straniero, nemico secolare per di più. Un affronto alla Patria troppo grande, che gli costerà carissimo. Nel 1945, a guerra finita, figurò fra gli imputati per alto tradimento, assieme ad altre figure chiave del regime di Vichy. Evitò la condanna a morte solo per l’intervento del capo provvisorio dello Stato, il generale Charles De Gaulle, che commutò la pena in ergastolo, vista l’età avanzata. Passò il resto dei suoi giorni in carcere, odiato e rinnegato anche da coloro che un tempo lo avevano ritenuto un vanto nazionale.