Vi siete mai chiesti cosa significasse fare “shopping” nel Medioevo? Mentre nei villaggi si era soliti allestire un piccolo mercato settimanale, nelle grandi città la situazione era assai diversa. Esistevano negozi permanenti e commerci specializzati, dotati di un’offerta varia e allettante. Non mancavano casi di acquirenti compulsivi, al pari di oggi. Ad esempio, il poeta Guillaume de Villeneuve racconta la propria esperienza di compere sregolate a Parigi. La quantità e la qualità della mercanzia gli avevano fatto perdere la ragione, al punto tale da vendere i propri abiti pur di soddisfare i piaceri della gola.
Nei grandi centri urbani si potevano trovare inoltre ricche fiere (proposte ancora oggi nelle fantasiose rievocazioni medievali) e mercati periodici. Le strade poi brulicavano di venditori ambulanti, che senza sosta declamavano a gran voce la sensazionalità della propria merce. Nel complesso, era già possibile trovare una vastissima gamma di prodotti, per ogni ceto e per ogni tasca. Tra gli elementi che accomunavano maggiormente le città commerciali possiamo annoverare gli odori e rumori incessanti.
La socialità smodata nei luoghi di scambio e di commercio era all’ordine del giorno: chiacchiericci, versi di animali da soma, cani, gatti, mendicanti, predicatori, banditori che annunciavano assemblee municipali o editti del signore del luogo. Questi fattori insieme a tanti altri, contribuivano a rendere l’atmosfera delle strade estremamente viva. Un’altra cosa che caratterizzava questo frastuono erano le dispute tra venditori e acquirenti, che a forza di contrattare riuscivano a trovare un accordo. Quali prodotti si vendevano?
Di ogni genere; nelle grandi fiere o nei mercati degli artigiani si potevano trovare pelli, stoffe, utensili, poi frutta, ortaggi, cereali, pane, birra, liquori, medicinali, e in alcuni luoghi il pesce. Gli articoli dal prezzo più elevato erano l’olio, il vino, i funghi, le lane finissime, i profumi e le spezie. Falegnami, sarti e orafi potevano scegliere di vendere direttamente nei propri laboratori. Infatti, gli artigiani di una stessa categoria si raggruppavano in delle vie che a loro volta prendevano il nome dalla corporazione predominante. Invece, macellai e pescivendoli, furono i primi per ragioni di salute e igiene a differenziare lo spazio della vendita da quello dello stoccaggio. Normalmente conservavano i loro prodotti in un capannone a due piani.
Fu proprio da questa struttura che si sviluppò il modello del negozio medievale. Di solito la parte superiore era adibita a magazzino, laboratorio o abitazione del commerciante (o a tutte e tre le funzioni contemporaneamente). In questi piccoli edifici era comune la presenza di una botola in aggetto, da cui il venditore si affacciava quando i clienti suonavano il campanello. Possiamo osservare queste botole ancora oggi nei negozi d’epoca medievale.
In conclusione, chi desiderava fare “shopping” nel Medioevo, aveva a che fare con negozi di piccole dimensioni. Spesso si trattava di locali in affitto, sui lati delle strade principali delle città. Gli articoli venivano venduti attraverso una finestra che fungeva anche da vetrina. In taluni casi, era possibile anche accedere ai negozi, che avevano solitamente il pavimento rivestito di piastrelle e una vetrina parallela alla parete da cui osservare gli oggetti esposti. Infatti, le finestre di vetro si diffusero solamente a partire dal XVIII secolo.