Al tramontare del XIII secolo Marco Polo ne Il Milione la definiva “nobile cittade”. Nobile Samarcanda lo era davvero, con le sue cupole color zaffiro e i palazzi dall’aurea ancestrale. La città che sorse intorno al VI secolo a.C. tra gli antichi corsi Oxus e Iassarte (oggi rispettivamente Amu Darya e Syr Darya, in Uzbekistan) fu uno dei poli urbani più ricchi dell’Asia centrale e una delle mete maggiormente gettonate lungo la Via della Seta.
Le tre madrase armoniosamente disposte nella piazza del Registan testimoniano lo splendore antico della città divenuta capitale di un impero immenso, vasto e prospero: quello di Tīmūr Barlas, noto agli occidentali del Tre-Quattrocento come Tamerlano. L’impero che da lui prese il nome, per l’appunto “timuride”, cui limiti si estendevano dalla Persia orientale fino alla Transoxiana, passando per l’arcaica terra mesopotamica, aveva per centro la stessa Samarcanda (Samarqand in farsi e uzbeko). Spesso si fa riferimento alle testimonianze di Marco Polo per tutto ciò che riguarda l’Oriente in epoca medievale. Ma l’esploratore veneto non fu l’unico a viaggiare verso est e a redigere resoconti dettagliati su quanto visto.
Essenziali sono gli scritti dell’ambasciatore madrileno Ruy González de Clavijo, inviato dal re castigliano Enrico III alla corte di Tīmūr lo zoppo. Il sovrano iberico, come tante altre teste coronate d’Europa, vedeva nel conquistatore asiatico il principale partner in funzione anti-ottomana. Fulgida era la vittoria di Tamerlano ad Ankara nel 1402 contro i temuti Ottomani di Bayezid. González de Clavijo si avviò alla volta di Samarcanda con un voluminoso carico di doni. Passando per Italia, Grecia, Anatolia e Mesopotamia, alla fine giunse a destinazione il 31 agosto 1404. Rimase nella capitale dell’Impero timuride non più di qualche mese, scrivendo un corpus di relazioni da cui sarebbe nata la Historia del Gran Tamorlan. Il testo fu pubblicato per la prima volta a Siviglia quasi due secoli dopo, nel 1582.
La prima cosa che colpì il diplomatico castigliano fu la commistione culturale tra Occidente ed Oriente che si poteva respirare tra le strade della città. Evidente era l’operato degli armaioli, dei tessitori e dei soffiatori di vetro provenienti dalla Siria. Impressionante era l’apporto architettonico ed urbanistico degli stuccatori indiani. Dall’Asia Minore provenivano invece le armi da fuoco e i primi esperti artiglieri. Il cattolicissimo Clavijo non poté fare a meno di constatare la pluralità religiosa di quella capitale. In essa convivevano fedi come lo Zoroastrismo, l’Islam e il Cristianesimo nella sua accezione nestoriana. La relazione dello spagnolo poi si sofferma tantissimo sulla ricchezza dei mercati. In quei luoghi, in cui sembrava concentrarsi il vero “tesoro” dell’impero costituito da Tamerlano, circolava di tutto: rubini, diamanti, pelli, tessuti, rabarbaro, spezie varie e via discorrendo.
Tamerlano, che a tanti appariva come un potente e rozzo tiranno, possedeva una sensibilità artistica e culturale marcata. Clavijo ebbe modo di confermarlo. Tra XIV e XV Samarcanda si arricchì di enormi strutture adibite a tutti i campi del sapere, importanti edifici pubblici e monumenti di uno sfarzo senza eguali. Esempio solenne era (ed è) la moschea Bibi Khanum, eretta in onore della favorita tra le mogli. Il sovrano ordinò la realizzazione di 480 colonne in marmo, puntualmente trasportate dagli elefanti bottino di guerra in India. Per impellenze di carattere bellico, affidò la supervisione dei lavori alla principessa mongola per la quale veniva costruita la medesima struttura.
Quando il sovrano morì – tra l’altro sessantanovenne e in procinto di invadere l’Impero cinese – il 19 gennaio 1405, la delegazione castigliana aveva già fatto le valige ed era tornata in Spagna. Lo zoppo si fece seppellire all’interno del mausoleo Gur-e-Amir, letteralmente “la tomba del’emiro”. Ancora oggi il monumento dalla pianta ottagonale e dalla meravigliosa cupola azzurra suggestiona i visitatori con i suoi motivi ornamentali geometrici, tinti di blu e verde scuro.
L’enorme lapide tombale dell’emiro, in nefrite scura, reca incisa una formula terribile e leggendaria: “Chiunque aprirà questa tomba sarà sconfitto da un nemico più terribile di me”. Il 21 giugno 1941 l’archeologo ed antropologo sovietico Mikhail Gerasimov scoperchiò la tomba del conquistatore. Il giorno dopo, il 22 giugno, scattò l’Operazione Barbarossa…
Oltre questa incredibile storia, resta indelebile negli occhi di chi l’ha visita l’incanto che solo una grande capitale, di un grande impero come quello timuride, può destare. Perché Samarcanda non fu solo una città fra le città, ma riflesse la gloria eterna di un grande uomo, capace di segnare permanentemente la storia.