Quando si parla di arte rupestre spesso la nostra mente ci riporta ai nostri vecchi libri di scuola, alle pagine dedicate alle grotte di Lascaux e Chauvet in Francia e ai loro graffiti e dipinti risalenti al Paleolitico. Non tutti sanno, però, che mentre nel 1979 il sito di Lascaux divenne patrimonio dell’Unesco, nello stesso anno in Nord America vennero scoperte numerose grotte ricche di disegni risalenti a 2000 – 1500 anni fa. La più affascinante tra queste è sicuramente la grotta senza nome in Alabama.
Gli studiosi dell’Università del Tennessee che scoprirono questa grotta la definirono “numero 19”, non assegnandole un nome vero e proprio, per proteggere la sua localizzazione da vandali e saccheggiatori. Le dimensioni della caverna sono davvero notevoli. Infatti, presenta più di 5 km di passaggi sotterranei e il passaggio principale si apre sulla camera del glifo, un antro sulle cui pareti si ritrovano, appunto, numerosi glifi.
Ma che cosa sono i glifi? Sono dei segni incisi nella roccia che simboleggiano per lo più figure geometriche stilizzate, con richiami alla natura e all‘antropomorfismo. I glifi di questa camera, bassa e stretta, sono incisi sul soffitto. Pertanto, una persona deve rannicchiarsi e strisciare per muoversi al suo interno. Scoprirà così immagini di arte rupestre quasi a misura d’uomo, tra le più grandi conosciute nel Nord America.
Un interessante glifo di fango rappresenta l’immagine di una figura umana con un corpo lungo e squadrato, con le braccia presumibilmente riposte dietro la schiena. Le linee di riempimento sono orizzontali e la testa ha sembianze animali. Questo glifo si presenta molto simile a un altro ritrovato all’interno della stessa grotta. Ecco una conferma della ricorrenza dell’antropomorfismo nell’arte rupestre del Nord America, molto affine agli usi delle civiltà precolombiane.
La fotogrammetria 3D ha permesso il riconoscimento di queste immagini. Questa tecnica riproduce i modelli digitali di moltissime fotografie sovrapposte – di un oggetto o luogo – riprese da più angolazioni. L’archeologia sta sfruttando sempre più la fotogrammetria per poter portare letteralmente alla luce immagini altrimenti impossibili da ammirare.
La tecnologia della fotogrammetria 3D ha permesso di visualizzare queste incredibili incisioni, ma non è l’unica tecnica che risulta vincente nella scoperta. I residui di una fiaccola di bambù hanno permesso di datare al 133 – 400 d.C. le rappresentazioni, attraverso la tecnica del radiocarbonio.