Conoscete la teoria dei “Sei gradi di separazione”? In breve è quell’ipotesi per la quale ognuno di noi, inconsapevolmente, è legato a chiunque altro sulla faccia della terra attraverso una catena di conoscenze che conta non più di cinque intermediari. L’affascinante teoria ha conosciuto attuazione pratica grazie ad un test condotto da Stanley Milgram (noto per un altro esperimento, dai risvolti ben più drammatici) nel 1967. Su questo torneremo alla fine dell’articolo, per ora concentriamoci sulla figura di Frigyes Karinthy.
Karinthy fu uno scrittore ed umorista ungherese, nato a Budapest nel 1887, che per primo mise nero su bianco la teoria sopra enunciata. Ciò avvenne nel 1929, con la pubblicazione del volume Catene1, in cui si raccontava l’esperienza che lo portò a maturare una simile idea. È utile, ai fini della comprensione, esporre brevemente alcuni tratti della biografia di Karinthy. Infatti alcuni eventi della sua vita – posteriori alla formulazione dei “Sei gradi di separazione“, termine a sua volta cronologicamente improprio – per uno strano gioco del destino sembrano fornire la controprova di quanto teorizzato al tramontare dei ruggenti anni ’20.
La Budapest in cui cresce Frigyes Karinthy è una capitale (titolo bipartito con Vienna) cosmopolita e vivace culturalmente e letterariamente parlando. Prima di addentrarsi nel magico mondo del giornalismo, Karinthy – borghese figlio di borghesi – studia svariate discipline in altrettante facoltà universitarie. Sebbene non arrivi mai a laurearsi, tocca così tante materie da sviluppare una poliedrica conoscenza scientifica (bravo ma non eccelso in fisica, matematica e medicina; impareggiabile in letteratura e filosofia). Grazie ad uno spiccato senso dell’umorismo, divenne in pochi anni uno degli autori ungheresi più apprezzati.
Saltando a piè pari i dettagli sulla sua vita amorosa e sentimentale arriviamo alla primavera del 1936. Un giorno Karinthy provò una stranissima sensazione. Mentre era intento a scrivere qualcosa seduto al tavolino del suo caffè preferito in tutta Budapest, sentì il fastidioso stridio delle rotaie sebbene la stazione dei treni fosse lontanissima. Il rumore così amplificato nella sua testa gli fece provare un malessere assimilabile alle vertigini. Dopo pochi giorni poté constatare il degradamento della sua percezione visiva nonché degli allucinanti mal di testa. Qualcosa non andava per il verso giusto. Sua moglie Aranka, che è un medico di professione, scongiurò dopo qualche controllo l’ipotesi di un tumore. Karinthy però volle vederci chiaro e consultò un numero non indifferente di dottori e specialisti. Ognuno disse una cosa diversa, accrescendo i già forti dubbi dell’umorista.
Quando i sintomi si fecero più violenti (vomiti a digiuno, svenimenti, emorragie retiniche), la corsa al miglior chirurgo iniziò. Lo scrittore magiaro aveva amici influenti, attraverso i quali arrivò a contattare il massimo esperto di chirurgia cranica, lo statunitense Harvey William Cushing (la fitta ma dislocata rete di conoscenze dovrebbe farci pensare a qualcosa…). Nelle condizioni in cui si trovava Karinthy un lungo viaggio in Nord America era sconsigliato. Nessun problema! Cushing disse di recarsi dal suo miglior allievo, tale Herbert Axel Olivecrona, operante nella più abbordabile Stoccolma. Il chirurgo e l’autore si misero in contatto per tramite di un primario viennese (il motivetto è ricorrente come si può ben osservare) e alla fine l’operazione, sulla quale Karinthy ha scritto un bellissimo libro, ovvero Viaggio intorno al mio cranio, divenne realtà.
Olivecrona estrasse dal cervello di Frigyes Karinthy un angioma (noto oggi come cavernoma). Sarebbe un tumore benigno costituto da un intrico di vasi sanguigni cresciuti in maniera disordinata. L’operazione fu un successo… Purtroppo a breve termine! Allora non lo sapevano, ma l’angioma è recidivo e può ripresentarsi anche a seguito dell’operazione. Infatti due anni dopo tornò a bussare alla porta in veste di ictus mortale. Karinthy venne a mancare il 29 agosto 1938.
Dal breve racconto biografico si sarà inteso il collegamento tra la teoria dei “Sei gradi di separazione” e l’esistenza stessa di Frigyes Karinthy. Come anticipato nelle prime battute, la formulazione teorica troverà concretizzazione empirica nella seconda metà degli anni ’60, grazie a Stanley Milgram. Lo psicologo americano chiese ad un gruppo casuale di sconosciuti residenti nel Midwest di inviare un pacchetto ad un individuo (estraneo ai soggetti iniziali) che viveva nel Massachussetts. Ognuno dei partecipanti sapeva il nome del destinatario, il suo impiego e la zona in cui risiedeva, ma non l’indirizzo preciso. Dunque fu chiesto loro di spedire il pacco ad un conoscente che, secondo il loro personale giudizio, avrebbe avuto qualche possibilità di rintracciare il destinatario finale. La persona incaricata avrebbe dovuto/potuto fare lo stesso fino a quando il pacco non sarebbe giunto a destinazione.
Milgram paventò l’ipotesi per la quale la conclusione della catena avrebbe richiesto poco meno di un centinaio di intermediari. Con enorme sorpresa il pacco originale arrivò a destinazione con un minimo di cinque e un massimo di sette intermediari. L’esperimento di Milgram, basato su quello che lui chiamava “Teoria del piccolo mondo” comportò la coniazione del termine “Sei gradi di separazione”.