Plinio il Vecchio, che vive nel I secolo d.C., nella sua Naturalis historia definisce la cipolla come panacea contro tutti i mali: “se mangiata col pane in grado di curare le ulcere della bocca [ulcera oris sanare commanducatae cum pane]. Se intinta nell’aceto può disinfettare una ferita derivante dal morso di un cane [canis morsus virides ex aceto inlitae aut siccae cum melle et vino]. Secca o pucciata nel miele è capace di alleviare il mal di denti [in dolore quoque ad dentes]“. Plinio non si ferma mica qui, continua dicendo come la cipolla possa essere un toccasana per contrastare i dolori dorsali, per prevenire alopecia e psoriasi, in definitiva per allungare la vita!
Nel 1469 Giovanni da Spira, aspirante tipografo tedesco trapiantato da Magonza a Venezia, diede alle stampe l’editio princeps della suddetta opera pliniana. Il Medioevo convenzionalmente delineato si apprestava a concludersi, ma chissà quanti dotti lessero il trattato latino e in cuor loro esclamarono “oh, ma guarda un po’, anche gli antichi conoscevano l’inestimabile valore della cipolla”. Eh già, perché sua maestà Allium cepa (questo il nome della specie vegetale) era davvero la regina degli alimenti nell’evo di mezzo.
Tralasciando in questa sede il fatto che la cipolla (e le sue incredibili proprietà) era cosa nota già da molto tempo prima che Roma divenisse caput mundi. Si pensa che un consumo su larga scala dell’ortaggio avvenisse in alcune zone del Medio Oriente durante l’Età del Bronzo. Mentre è appurato che in Egitto, nel terzo millennio a.C., si coltivassero tanto in qualità di cibo quanto per la loro valenza religiosa. È piuttosto interessante segnalare il valore sociale ed economico che la cipolla assunse dopo l’antichità classica.
Buttiamo nella mischia un altro esempio letterario d’importanza estrema: il Regimen Sanitatis Salernitanum. La Regola sanitaria salernitana è un trattato didascalico in versi latini redatto, come si può ben capire, nell’ambito della Scuola Medica Salernitana tra il XII e il XIII secolo. Nell’opera si riportano quasi le stesse indicazioni che Plinio il Vecchio, mille e rotti anni prima, aveva sottolineato nella Naturalis historia.
Ma la novità del testo medievale è un’altra. Per la prima volta viene fatto riferimento (anche se indiretto) al valore economico della cipolla. In alcuni casi essa venne addirittura utilizzata come moneta di scambio o bonifico accettabile in casi specifici, vedasi il pagamento degli affitti annuali. Fonti iconografiche giunte fino a noi riportano altresì una peculiarità da non sottovalutare. Pare che in Europa centro-orientale si regalassero cipolle come veri e propri doni (forse per compleanni o matrimoni, non è ben chiaro).
Persino i Nativi Americani possedevano una conclamata conoscenza della cipolla, anche se nella sua veste selvatica. Quando Colombo approdò in quelle che per lui erano le Indie notò che alcuni gruppi indigeni si avvalevano delle cipolle per le loro proprietà coloranti, oppure per preparare sciroppi e cataplasmi. Vero è che fu con il viaggio ad Haiti del 1493 che l’esploratore genovese introdusse la cipolla europea in America centrale. Così come è vero che più a nord i nativi sapessero esattamente cosa fosse l’ortaggio. Se pensate che in lingua Algonchina “Chicago” significa “campo di cipolle“, allora torna tutto…