Quella intorno alla femmina accabadora è una delle vicende avvolte dal mito e dalla leggenda più intriganti del nostro paese. Si tratta, come detto nel titolo, di una figura appartenente alla cultura folkloristica sarda, il cui nome è legato anche al dialetto della regione. Iniziamo il nostro viaggio nel mistero e nelle vicende sarde.
Partiamo giustamente dal nome. In apertura abbiamo detto che è legato al dialetto sardo, in realtà è solo parzialmente vero. Il titolo di femmina accabadora si lega anche all’idioma spagnolo. La parola in questione è “s’acabbu“, “la fine” o quella spagnola acabar, che vuol dire sempre “terminare“. Insomma, già il nome è tutto un programma. Passiamo allora alla funzione.
Tale donna mitica, avvolta dall’oscurità e pronta a regalare l’oscurità, era colei che poneva fine a qualcosa. Colei che poneva fine al bene più grande di cui disponiamo: la vita! Ma non si tratta di un romanzo giallo o di un horror. La nostra protagonista non era una spavalda e crudele mietitrice di anime qualunque. Portava la morte solo a chi si trovava già sul suo orlo, ai malati terminali e ai sofferenti.
A volte erano gli stessi familiari del sofferente a richiederne l’intervento. Allora ecco che arriva l’accabadora. Entra nella stanza, silente, quasi intangibile. Di nero vestita, il volto crudo e spento coperto da un velo e attacca la vittima. Secondo le leggende, lo fa in modi diversi, in base alla zona in cui si trova: soffocamento tramite cuscino o forte colpo in testa tramite un grande bastone d’olivo (detto su matzolu). Secondo altre versioni poteva soffocare anche le vittime ponendo la loro testa tra le sue gambe.
Ma ora è tempo di ritornare all’ambito prettamente storico, e di attivare la nostra coscienza critica. Nonostante si tratti di una bella storia folkloristica, non vi sono prove certe dell’esistenza della femmina accabadora. Molti antropologi ritengono quasi sicuramente anzi che non sia mai esistita, ma che si trattasse di una donna qualunque che portava conforto alle famiglie dei morenti e ai morenti stessi nei momenti di agonia.
Chi invece sostiene sia esistita ne rintraccia le ultime tre apparizioni del corso del secolo scorso, a Luras (1929), una a Orgosolo (1952) e ad Oristano. Spesso si giustifica tale concezione dicendo che erano tempi difficili e che trasportare i malati negli ospedali, o semplicemente farli curare, era difficile e costoso. Perciò si ricorreva alla accabadora. Probabilmente è solo un racconto del focolare, ma comunque molto bello e interessante.