Spesso e volentieri ci si limita a definirli come abili marinai, instancabili viaggiatori, scaltri commercianti e carpentieri dal fine senso pratico. Non sono certo falsità, ma mi piacerebbe romanticizzarli più di quanto non sia stato già fatto in passato. Perché ho sempre visto i Fenici come un popolo che nel destino aveva il mare, vasta e naturale metafora della loro grandezza.
I Fenici furono prima di tutto un popolo semitico di origine cananea insediatosi già dal XII secolo a.C. nell’odierno territorio del Libano. Il dato geografico mai come in questo caso è fondamentale, perché fattore di sviluppo e prosperità. La costa libanese è storicamente una fascia di terra fertile, protetta e delimitata internamente da massicci rilievi. Le catene montuose svolsero una duplice funzione: da una parte preservarono l’incolumità degli autoctoni dallo scontro delle potenze regionali, tanto mesopotamiche quanto siriane. In secondo luogo garantirono ai Fenici la materia prima per la costruzione di una flotta mercantile di tutto rispetto. Materia prima che oggi è simbolo nazionale del Libano: sua maestà il cedro.
Il nome stesso del popolo la dice lunga sul loro conto: noi li chiamiamo “Fenici” perché i Greci li chiamavano così (Φοίνικες, Phòinikes). La denominazione è legata indissolubilmente alla merce più rara che si potesse trovare in un emporio fenicio, ossia la porpora, in greco antico Phòinikes. Il pigmento rappresentava il fiore all’occhiello del commercio fenicio, in quanto furono loro tra i primi a saperlo sfruttare a modo per la tintura dei tessuti. Ma se questo è vero allora ci si potrebbe chiedere come i Fenici chiamassero loro stessi. Abbiamo la risposta: 𐤊𐤍𐤏𐤍𐤌, che per chi non conoscesse l’originale e antico alfabeto fonetico (come fate a non conoscerlo…) suona come Kan‘anīm. È indicativo come termine, perché in effetti i Fenici non furono altro che la prosecuzione, nell’Età del Ferro, dell’antecedente civiltà cananea.
Si è citato l’alfabeto, perciò mi ci soffermerei per un secondo. Essi furono i primi ad adottare un semplificato sistema di scrittura alfabetico – alla faccia dei geroglifici egizi. Esattamente come accade nelle lingue moderne, l’alfabeto fonetico era composto da un numero limitato di segni, ognuno dei quali serviva a designare un suono. Per loro merito questa innovazione si diffuse in Grecia e poi nel Mediterraneo occidentale, precisamente in Italia fra gli Etruschi.
Sull’evoluzione strettamente politica della storia fenicia si sa ben poco, tra l’altro quasi esclusivamente grazie a testimonianze esterne. Gli storici tuttavia concordano nello stabilire il periodo di maggior rilievo dal 1200 a.C. fino al 332 a.C., anno della presa di Tiro (una delle più grandi città fenicie) da parte di Alessandro Magno. Delineato un arco cronologico in cui poterci muovere, è bene specificare una tendenza tipicamente fenicia: quella di vivere in autonomia, ma non in status di indipendenza. Si riconoscono nella storia di questo popolo diverse epoche di dominazione straniera: prima quella assira (IX secolo – VII secolo a.C.); successivamente quella babilonese (VII secolo – VI secolo a.C.); dopo ancora quella persiana (VI secolo – IV secolo a.C.) ed infine quella ellenistico-romana (IV secolo – I secolo a.C.).
Altra caratteristica che non si deve assolutamente dimenticare è come i Fenici, nella realtà dei fatti, non costituissero un unico popolo omogeneo, con un solo sovrano ed un solo regno. Almeno questo non traspare dai documenti da loro stessi prodotti. Più probabile immaginare una confederazione di città (Arado, Byblos, Tiro, Sidone), ognuna col proprio re e le proprie leggi. Una vicenda così delineata non rende giustizia al lascito culturale di cui i Fenici si resero autori indiscussi. Perché se l’essere assoggettati ai grandi imperi d’Oriente fu una costante per questo popolo levantino, parallelamente si distinse un altro atteggiamento, ben più glorioso e remunerativo, quello di creare colonie commerciali in tutto il bacino mediterraneo e anche oltre, giungendo persino a tracciare rotte oceaniche.
La vittoria (termine che utilizzo con riserva) più grande fu la creazione di quell’avamposto in Africa settentrionale tra l’814 e l’813 a.C., alla quale i coloni originari di Tiro diedero un nome destinato a scrivere la storia della regione: Cartagine. Sulla storia di quest’ultima non mi dilungo oltre (visti i numerosi articoli inerenti la sua nascita, il suo apogeo nonché l’inevitabile declino). Pocanzi ho definito la fondazione di Cartagine una vittoria fenicia, quanto in realtà l’evento fu croce e delizia per le più antiche città sulla costa levantina. Il successo punico oscurò i traffici fenici, i quali andarono incontro ad un progressivo ridimensionamento. Al tramonto di quella civiltà, superpotenza del suo tempo, seguì un’eredità imponente difficile da ignorare. Non poco per un “piccolo” popolo del mare, ertosi a talassocrazia.