Lì fuori esistono storie che, se non fosse per documenti e immagini dal valore probatorio, chiunque stenterebbe a prenderle per vere. Tanto folli e tanto illogiche da poter essere quantomeno frutto dell’immaginazione di un regista dall’estro creativo eccezionalmente sviluppato. Invece no, nulla di tutto ciò. E a dimostrazione di quanto a volte possa essere assurda la realtà che ci circonda vi racconto la storia di Shizo Kanakuri, il maratoneta che impiegò 54 anni per completare la sua corsa.
Giochi della V Olimpiade a Stoccolma, siamo in Svezia nel 1912. Due novità asiatiche figurano tra i paesi esordienti: Impero Ottomano e Giappone. La spedizione nipponica in Scandinavia annoverava ben due atleti, il centometrista Yahiko Mishima e il maratoneta Shizo Kanakuri. Il nome di quest’ultimo è legato ad un episodio clamoroso di cui, tuttavia, non si seppe nulla per decenni.
La maratona si svolse il 14 luglio, in un clima torrido nonostante la latitudine del luogo ospitante la rassegna olimpica. I 32° di media, misti ad un sole battente e alle disposizioni che un rigidissimo regolamento prevedeva (assenza di ristori durante la corsa), mietette delle vittime. Non in senso metaforico. Solo per farvi capire la disgrazia dell’evento, il portoghese Francisco Lázaro morì per disidratazione durante la manifestazione.
Andò relativamente meglio a Kanakuri, che fin dall’inizio della competizione mantenne la testa del gruppone assieme al sudafricano McArthur (vincitore finale). Dopo 30 km di sudore e buon ritmo, contro la norma il maratoneta giapponese si fermò per bere. Le fonti sostengono come un uomo, spettatore dal giardino della sua casa di Sollentuna, offrì a Shizo un bicchiere di succo al lampone. La sosta temporanea si tramutò in un riposo a lungo termine. La famiglia di agricoltori svedesi accolse l’atleta all’interno della loro abitazione, anche per paura che l’uomo potesse svenire o peggio, sentirsi davvero male. Quando Shizo Kanakuri si svegliò qualche ora dopo, la gara era finita.
Gli organizzatori avvisarono le autorità locali perché preoccupati per la sparizione. Dopo svariati tentativi di ricerca andati a vuoto la polizia di Stoccolma lo dichiarò disperso. Addirittura, quando in Svezia non si ebbero più notizie del maratoneta proveniente dal Sol Levante, le autorità confermarono il decesso, alimentando delle sinistre leggende metropolitane che lo vedevano ancora gareggiare per le strade di campagna, ma di notte e in veste di fantasma.
La realtà era ben altra. In pieno spirito giapponese, Kanakuri si vergognò così tanto del suo fallimento che nel silenzio più totale se ne tornò a Tokyo. E qui sta l’inghippo, che io in tutta la mia sincera onestà, non riesco proprio a spiegarmi. Perché se si fosse dato alla macchia, lo capirei anche, ma Shizo Kanakuri venne selezionato dal Giappone per i successivi Giochi Olimpici di Anversa 1920 (16° posto) e di Parigi 1924 (gara non terminata). Per le autorità scandinave era tuttavia un fantasma e lo rimase fino al 1966. In quell’anno un giornalista svedese inviato nel Giappone meridionale riconobbe, non si sa come, un anziano Shizo, diventato professore di geografia presso un istituto superiore. Il tempo di una chiamata e in Svezia scoppiò il caso mediatico.
Un’emittente televisiva contattò il vecchio professore, proponendogli la redenzione. Nel 1967 in occasione del 55° anniversario dei Giochi Olimpici di Stoccolma un settantaseienne Shizo Kanakuri riprese la corsa da dove l’aveva lasciata mezzo secolo prima. Tagliò il traguardo fermando il cronometro ad un tempo che resterà nella storia: 54 anni, 8 mesi, 6 giorni, 5 ore, 32 minuti, 20 secondi e 3 decimi. L’impresa gli valse il Guinness dei Primati, che forse nessuno, salvo bicchieri di succo al lampone dell’ultimo momento, riuscirà mai ad eguagliare.