La campagna di Dario I di Persia contro gli Sciti, durata non più di qualche mese nel 513 a.C., fu un totale fallimento. Nella testa del Re dei Re quella avanzata nelle steppe euroasiatiche doveva servire a soggiogare quanti avrebbero tentato una resistenza. Inoltre l’impero, così facendo, avrebbe difeso gli scambi commerciali tra l’Asia e l’Europa tramite il Mar Nero. D’altronde lì vivevano tribù nomadi che minacciavano da tempo i lunghi confini dell’Impero Achemenide. Una ragione in più per mettere in piedi un esercito e marciare alla volta dell’ignoto.
Si è detto pocanzi “tribù nomadi”, identifichiamole dunque. Un tempo nota come Scizia, il territorio che dal Dnepr procedeva verso est, fino al Volga, era occupato prevalentemente (ma non esclusivamente) dal popolo degli Sciti. Iranici proprio come i persiani, ma privi di una statualità ben delineata. Poco affini al concetto di amministrazione centralizzata e straordinariamente incapaci di coltivare su larga scala. Gli stessi Sciti che, analizzando l’altra faccia della medaglia, si distinguevano come abilissimi arcieri a cavallo, pastori di lunga data, resilienti come poche altre cose al mondo, impavidi e soprattutto molto pazienti (un pregio che farà impazzire il nostro Dario). Guai a chiamarlo popolo rozzo! I loro gioielli e le loro sfarzose sepolture avrebbero da ridire.
I persiani, sotto il comando diretto di Dario I, attraversarono prima il Bosforo grazie ad un ponte di barche, poi il Danubio. Nel mentre arrivarono alle armi con vari popoli, quei pochi che si misero di traverso e che rifiutarono un accordo con il potente impero. Come si può ben notare dalla cartina, lo scenario entro il quale si muove l’esercito persiano è vasto, anzi, vastissimo. Dai Balcani, passando per l’Ucraina, arrivando alle steppe russe meridionali. In un territorio così vasto, privo di città o punti di riferimento visibili, i generali del Gran Re di Persia smarrirono facilmente la via e soprattutto non riuscirono ad intercettare gli avversari, poco più che fantasmi.
Puntuale e chiarissimo come sempre nelle sue considerazioni, ci rende partecipi dello stato d’animo persiano niente meno che Erodoto. Il padre della storia descrisse a suo tempo la poco nobile (secondo gli standard persiani) strategia scita: terra bruciata, rapidi assalti ai convogli e pozzi interrati. Sembravano prendersi gioco del Re dei Re. Le fonti riportano un particolarissimo episodio, che a noi potrebbe strappare una risata ma che – almeno presumo – lasciò attoniti gli spiriti achemenidi. Quando finalmente gli uomini di Dario I sembrarono aver ingaggiato un folto contingente di guerrieri Sciti, quest’ultimi ruppero le righe per inseguire una semplice lepre. Tanto per loro valeva l’onore della guerra.
Stanco di una situazione insopportabile, per non dire imbarazzante, Dario scrisse una lettera al re degli Sciti, Idantirso, nella quale gli intimò di compiere una scelta, o la guerra o la resa: “Sciagurato individuo, perché continui a fuggire? Davanti a te hai due possibilità. Se ti ritieni capace di opporti alla mia potenza, fermati, smetti di vagare qua e là e combatti; se invece ti riconosci inferiore, allora cessa comunque di correre, porta in dono al tuo signore terra e acqua e vieni a colloquio con me”. Erodoto, Storie – libro IV.
Idantirso rispose a tono: “Per me, Persiano, le cose stanno così: io prima d’ora non sono mai fuggito per paura davanti a nessuno e nemmeno adesso sto scappando davanti a te. E attualmente non faccio niente di diverso da quanto faccio di solito anche in tempo di pace. E ti spiego pure per quale motivo non mi misuro subito con te: noi non possediamo città, né terre coltivate per cui correre a scontrarci in battaglia nel timore che vengano espugnate o devastate…”
“Se proprio è necessario arrivare rapidamente a tanto, noi abbiamo le tombe dei nostri antenati. E allora trovatele, queste tombe, tentate di devastarle e saprete immediatamente se per esse ci batteremo o meno; prima, se non ci sembra il caso, rifiuteremo lo scontro. Questo valga per la battaglia; quanto ai miei padroni io credo di avere come tale soltanto Zeus, mio antenato, ed Estia, regina degli Sciti. A te, poi, invece di terra e acqua in dono, ti manderò regali che più ti si addicono; e in cambio del fatto che hai detto di essere mio padrone, io ti dico di andare in malora”. Erodoto, Storie – libro IV
Glaciale il nostro Idantirso, portavoce di un’unione di popoli. Perché, giusto per fare un esempio, con gli Sciti si allearono anche i Sarmati, che pure diedero filo da torcere ai persiani. Dario I di Persia, il grande imperatore di un grande impero, non seppe più che pesci prendere. Decise perciò di battere in ritirata, ripercorrendo a ritroso il tragitto dell’andata. A coprire la ritirata ci pensarono gli Ioni, ellenici alleati dell’impero, i quali effettivamente battagliarono con i Sarmati nei pressi del Danubio. Dario lascerà in quelle terre un suo fidato generale, Megabazio. Anche perché, sebbene non si fossero raggiunti gli obiettivi prefissati alla vigilia del 513 a.C., i persiani comunque assoggettarono le genti della Tracia fino al fiume Strimone.
Di quell’impresa fallimentare restano anche delle fonti materiali non indifferenti, alcune delle quali assolutamente pretenziose. Si citi come esempio il rilievo rupestre sulla tomba di Serse, figlio di Dario I e futuro Gran Re di Persia. Il fregio indica gli “Sciti al di là del mare” come uno dei popoli sottomessi al volere persiano. Così non fu per i nomadi delle steppe, a differenza delle poleis greche qualche anno più tardi, molte delle quali abbassarono la testa di fronte al passaggio degli immortali della Guardia Imperiale persiana.
Corsi e ricorsi storici, come si suol dire. Perché SE Napoleone o l’innominabile (quello del Terzo Reich per intenderci) avessero studiato il fallimento di Dario, beh…