Dopo aver letto l’interessantissimo articolo di Craig Considine, pubblicato sull’autorevole blog informativo HuffPost (ex The Huffington Post), è scaturita in me la voglia di approfondire quanto appreso, ragionando sugli stessi termini e sulle medesime considerazioni espresse nel trafiletto. Tutto ruota attorno ad una profonda ed endemica svista storica sui programmi educativi di gran parte del mondo occidentale. Anzi, è più corretto definirla amnesia storica, perché di questo si tratta quando si cita in causa l’ignoranza (volontaria o meno) sulle conquiste scientifiche, mediche, filosofiche, pedagogiche del mondo islamico a partire dal VII secolo. È dunque impellente e necessario sottolineare l’evidente nonché significativo contributo musulmano alla Civilizzazione.
Da dove partire? Beh, potrebbe sorprendere alcuni di voi sapere che la prima università non nasca in Italia, bensì a Fez, in Marocco. La “più antica istituzione di istruzione superiore in continua esistenza al mondo” (citando il Guinness dei Primati, nonché i commenti annalistici dell’UNESCO) risale all’859. Anno in cui una donna, Fatima Al-Fihriya, fondò una moschea dalla quale nacque una madrasa che divenne uno dei principali centri spirituali ed educativi del mondo musulmano. L’università esiste ancora oggi e porta il nome di al-Qarawiyyin. Da qui si diffuse il concetto di conferire diplomi per attestare il raggiungimento di determinate conoscenze, una consuetudine che avrebbe trovato terreno fertile in Andalusia, in Egitto (Cairo), poi in Italia (Parma e Bologna) e successivamente a Parigi ed Oxford.
Istruzione che spesso andava di pari passo con tolleranza ed inclusività, come dimostrano le varie scuole andaluse sorte e sviluppatesi tra VII, VIII e IX secolo. Lo stesso arco temporale in cui nel resto d’Europa si soffriva l’assenza di tantissimi testi greci o latini (andati perduti, malamente conservati o del tutto ignorati). Furono gli studiosi arabi ad intraprendere le traduzioni di suddetti testi, originariamente trascritti in greco o in ebraico. L’approdo in Europa della filosofia platonica (quella vera e non il neoplatonismo proveniente dalle sacre scritture), aristotelica o socratica fu merito degli eruditi musulmani, coloro che davvero resuscitarono un sapere ellenistico fino ad allora permasto nell’oblio dell’ignoranza.
E allora perché non citare alcuni di questi autori? Al-Ghazali, musulmano sufita originario della Persia che visse tra XI e XII secolo. Per smussare l’eccessivo razionalismo islamico, egli coadiuvò la logica aristotelica ai dettami neoplatonici, dando vita ad un originale pensiero filosofico di amplissimo respiro. Posteriore è l’attività di Ibn Khalodun, nato a Tunisi nel 1332 e morto nell’Egitto mamelucco nel 1404. Finissimo sociologo, egli rimodellò l’indagine storica e ad oggi è considerato (da quei pochi che lo conoscono…) uno dei più grandi storici mai esistiti. Il suo capolavoro, il Muqaddimah (lett. Introduzione), ha gettato le basi metodologiche per le scienze sociali moderne.
Importanti furono i passi avanti della società musulmana nel campo della sanità. Nell’872 l’autorità califfale abbaside decise di edificare nell’affollatissima città del Cairo l’ospedale Ahmad ibn Tulun. Al suo interno l’approccio dei medici all’assistenza sanitaria fu a dir poco rivoluzionario. L’istituzione pioneristica non forniva solo cure mediche, ma fungeva anche da centro di riabilitazione e – cosa incredibile per l’epoca – da pensionamento per gli anziani privi di sostegno familiare. Sia chiaro come l’Ahmad ibn Tulun operasse in piena laicità, senza intromissioni religiose. L’ospedale divenne il punto di riferimento per l’intera cultura medico-sanitaria musulmana. Anche per via dei trattamenti riservati ai pazienti indipendentemente dal ceto, dal sesso e dalla disponibilità economica. Vale la pena menzionare il fatto che il ricovero si preponesse come obiettivo la cura e il trattamento degli affetti da disturbi psichici.
Spostandoci all’ambito chirurgico. Oggi si deve ringraziare un tale di nome Al-Zahrawi (latinizzato come Abulcasis) se esiste una pratica come il taglio cesareo o per l’utilizzo dei vari bisturi e pinze. L’enciclopedia illustrata di Al-Zahrawi funse da pietra angolare per la chirurgia europea fino al tardo Quattrocento, ben cinque secoli dopo la sua nascita.
Non potevano mancare all’appuntamento campi come fisica, chimica e astronomia. Qui gli arabi diedero prova di essere i migliori del loro tempo. Jabir Ibn Hayyan segnò per primo una netta distinzione tra ciò che è alchimia e ciò che è chimica. Proprio per questo si ritiene sia uno dei padri fondatori della disciplina. A testimonianza della nomea molto più che prestigiosa basti citare qui di seguito i suoi lavori sui processi di distillazione, cristallizzazione, evaporazione e filtrazione (alla base della chimica moderna). I contributi di Ibn Hayyan, inclusa la scoperta dell’acido solforico e nitrico, furono considerati cruciali tanto quanto quelli di rinomati chimici europei. Per quanto riguarda l’astronomia parlano da soli gli osservatori astronomici sorti in tutto il mondo islamico dal IX secolo in poi. Spettacolari furono (e sono, in larga parte) quelli di Baghdad, di Samarcanda, di Costantinopoli o Damasco.
Il segreto di queste innovazioni del sapere stava nel modo in cui i dotti musulmani osservavano, interpretavano e si spiegavano la scienza. Essi la intendevano in modo olistico, come se ogni diramazione dello scibile in realtà provenisse da un unico epicentro. Ecco perché un medico spesso era anche un chimico, così come un conoscitore dell’aerodinamica era un filosofo affermato.
Concluderei con le parole del già citato Consodine per il quale : “l’educazione globale su questi risultati è essenziale per dissipare idee sbagliate e impedire che aspetti significativi della storia mondiale vengano trascurati o ignorati a causa di un’amnesia storica“. Perché il contributo musulmano alla Civilizzazione, con la “C” maiuscola, è una realtà evidente ed incontrovertibile. Solo superando il pregiudizio si può meglio comprendere.