Tra la fine del XIX secolo e la prima guerra mondiale le potenze europee si dedicarono al cosiddetto Scramble for Africa. Questo famelico desiderio di appropriarsi di quanti più possedimenti africani non era immotivato. In quel periodo infatti l’Europa era alimentata dalla nascita di un nazionalismo molto più aggressivo del passato. Inoltre per la prima volta il sistema economico aveva subito un fortissimo arresto espresso nella prima grande crisi del capitalismo. Per fornire una soluzione alla sovrapproduzione dilagante sul Vecchio Continente, i paesi europei si impegnano nella colonizzazione dei territori africani, considerati terra di nessuno. Il brutale imperialismo ivi instaurato scatenò un gran numero di rivolte portate avanti dalle popolazioni locali. Una di queste fu la rivolta del Maji Maji. Di cosa si tratta?
La rivolta del Maji Maji fu una ribellione di tipo rurale avvenuta nell’Africa Orientale Tedesca tra il 1905 e il 1907. L’insurrezione interessò la colonia del Tanganica, oggi l’odierna Tanzania. L’Africa Orientale Tedesca era nata nel 1885 e la Germania aveva impresso ai propri possedimenti un governo feroce, totalmente improntato allo sfruttamento commerciale. I tedeschi beneficiarono rapidamente di un grande profitto economico, ottenuto principalmente attraverso l’implementazione del lavoro forzato nelle piantagioni.
Costrinsero gli agricoltori a piantare colture da reddito e facevano costantemente ricorso a metodi punitivi simili a quelli applicati nelle Americhe ai danni degli schiavi. Il rancore verso le autorità coloniali si esacerbò allorché i tedeschi decisero di introdurre il cotone nella regione. Una scelta fatale, poiché innescò la ribellione del Maji Maji, capeggiata dal medium-guaritore Ngwale. Questi predicava un culto di possessione che avrebbe dovuto rendere i propri seguaci immuni alle pallottole nei combattimenti. Quella del Maji Maji fu una delle rivolte anticolonialiste ad avere maggiore successo.
La ribellione coinvolse più di 20 diversi gruppi etnici e quasi un quarto degli abitanti dell’Africa Orientale Tedesca. Tutti si unirono per combattere il brutale oppressore sia con tecniche di guerriglia che di combattimento in campo aperto. Inoltre, il nome della rivolta costituiva già di per sé un fatto interessante. La presunta invulnerabilità dei combattenti di Ngwale derivava da una bevanda magica, chiamata appunto Maji Maji. Questo potente intuglio si otteneva mischiando l’acqua al miglio. L’alone spirituale e la voglia di rivincita convinsero effettivamente chi la beveva di essere invincibile e questo fornì ai combattenti una carica del tutto nuova nella lotta contro i feroci colonizzatori.
I rivoltosi Maji Maji iniziarono con l’attaccare tutti i simboli del potere straniero, tra cui le piantagioni e le infrastrutture amministrative. Nonostante fossero scarsamente armati, erano in gran numero e riuscirono a ottenere alcune importanti vittorie, seminando il caos all’interno della colonia. Ciononostante, il divario tecnologico esistente rispetto alle forze tedesche fece svanire ogni illusione mistica. La forza della bevanda Maji Maji non poteva reggere il confronto con la mitragliatrice. Quando il Kaiser Guglielmo II seppe della rivolta, fece subito inviare rinforzi sia dalla Germania che dalle altre colonie, come la Nuova Guinea. L’arrivo di un contingente armato di più di 1.000 soldati regolari diede il via alla controffensiva.
I tedeschi soffocarono la rivolta con molta brutalità ed efficienza, distruggendo villaggi, raccolti e altre fonti di sostentamento. Di quest’ultime non beneficiavano solo gli artefici della rivolta Maji Maji, ma anche il resto della popolazione. La carestia causata da questa devastazione fece tragicamente aumentare i morti tra le fila dei nativi. Dopo 2 anni di guerriglia, le vittime ammontavano a diverse centinaia per i tedeschi e a ben 75 mila per i ribelli e per chi li aveva aiutati. Tuttavia, questa rivolta non fu dimenticata. Diversi anni più tardi il movimento anticoloniale del Tanganika la definì come una forma di proto-nazionalismo, capace di riunire tutte le etnie della regione sudorientale nella comune lotta contro l’oppressione dei colonizzatori.