All’approfondimento storico sull’origine degli occhiali, del reggiseno e sul vestito vittoriano tanto bello quanto mortale, non poteva non seguire un focus sulle mutande, l’intimo più amato da uomini e donne, irrinunciabile nella sua essenza. Sembra quasi strano dirlo, ma anche suddetto capo d’abbigliamento ha una sua storia. Sarebbe stato un peccato non raccontarla…
Quando si parla di origini è difficile scansare il binomio greco-latino. Ebbene, nell’antichità le mutande non erano chissà quanto utilizzate/apprezzate. I romani ad esempio non le indossavano se non per svolgere determinate attività fisiche correlate al mondo dell’atletica. In tal caso, erano soliti indossare il subligaculum (dal latino subligo, “legare sotto”). Copiato e adattato dagli Etruschi, l’altresì noto “subligacolo” era una sottofascia di lino avvolta intorno alle cosce e allacciata alla vita. Un perizoma praticamente.
A proposito di perizoma: in Grecia solo gli uomini potevano indossarlo e lo facevano solo in casi estremi. Il più delle volte sotto la chitone (la tradizionale tunica ellenica, dal greco antico χιτών, chitṑn) sia uomini che donne erano nudi, così come nudi si andava a letto. Bando al pudore! In giovinezza gli uomini non si vergognavano nel mostrare i loro genitali, gesto considerato virile e socialmente accettato. Ok, ma sin qui si è parlato non tanto dell’indumento, quanto più della sua assenza. Dunque, quando compaiono le mutande propriamente dette?
Se dovessimo dar retta all’etimologia della parola, la quale deriva dal gerundivo latino mutandae (gerundivo di mutare) che significa da cambiarsi, allora si opterebbe per un’origine romana. Ma non è così semplice. Più facile credere che le mutande si siano affermate nella società mediterranea, longobarda per l’esattezza, tra gli ultimi sgoccioli del Tardoantico e l’Alto Medioevo. Paolo Diacono, la più grande fonte storica longobarda a noi pervenuta, le chiamava femoralia.
Curiosissima, a mio parere, è una cronaca che riguarda Alachis, duca longobardo di Trento e Brescia (poi usurpatore della corona nel 688 ma questo è un altro discorso). Alla domanda d’udienza proposta da un diacono (ambasciatore dell’arcivescovo di Pavia) e recapitata da un messaggero alla corte di Alachis, quest’ultimo rispose positivamente, ma ad una sola condizione: “si munda femoralia habet” (se ha/porta mutande pulite). Perché va bene tutto, ma all’igiene non si rinuncia!
Lungo tutto il tortuoso corso medievale, sulle mutande non sono pervenute molte notizie e quelle poche di cui si riesce a tener traccia sono più contraddittorie che altro. Secondo le fonti sono due le donne che rivoluzionano il concetto stesso di mutanda: Isabella d’Este e Caterina de’ Medici. Alla prima è attribuita l’invenzione e l’originario utilizzo di braghe lunghe e larghe, pendenti fino al ginocchio (che poi divennero esclusiva delle prostituite in piena modernità). Alla signora Medici che finì in sposa ad Enrico II re di Francia si deve invece la creazione delle “briglie da culo“. Si trattava di intimo stretto e attillato, di cotone o fustagno, in voga presso tutte le più facoltose corti europee. Anche queste particolari briglie fecero la fine delle braghe estensi, divenendo status symbol per prostitute e cortigiane.
Cadute in disuso fino al secondo Settecento (solo 3 nobildonne su 100 indossavano mutande; Luciano Spadanuda, Storia della Mutanda), il capo d’abbigliamento riacquistò dignità nel primo trentennio del XIX secolo. Una riscoperta dovuta alla necessità femminile di coprire le parti intime una volta indossata la crinolina che, come ricordiamo, soffriva particolarmente il vento…
Comunque, in pieno stile vittoriano (che predicava bene, ma razzolava malissimo), le mutande furono relegate all’ambito dell’indicibile, della volgarità, tanto che in ambienti anglofoni si presero a chiamarle “tubi della decenza“, soprattutto per via della loro forma allungata e tubolare. Furono gli stessi anni, quelli di metà Ottocento, in cui prese piede la moda aristocratica della candida biancheria intima ornata di pizzo. Le classi popolari approdarono nel meraviglioso mondo della biancheria intima solo al mutare del secolo, non senza critiche tuttavia.
La tendenza per le mutande fu quella di accorciarsi col passare del tempo. Negli anni ’20 del Novecento divennero pagliaccetti fino a raggiungere forme e dimensioni a noi note tra il 1960 e il 1970. L’industria della moda colse la palla al balzo e seppe trasformare un indumento fino ad allora anonimo in un’immensa opportunità di mercato. Vedete! Anche le mutande hanno una loro storia.