Almanacco del 26 maggio, anno 1828: in una piazza di Norimberga compare dal nulla un ragazzo trasandato, visibilmente scosso, che al dialogo preferisce la ripetizione di frasi senza senso, sconnesse, inneggianti alla cavalleria e ad un presunto servizio che deve svolgere con urgenza. Ha inizio in quel 26 maggio, lunedì di Pentecoste, il caso di Kaspar Hauser, uno dei più grandi misteri del XIX secolo.
“Voglio diventare un cavaliere, come lo era mio padre”, e ancora “Cavallo! Cavallo!” – queste sono le frasi che il giovanotto ripete a menadito di fronte la stazione di polizia bavarese. Un agente, che non può fare a meno di ascoltarlo, si avvicina incuriosito. Temendo sia un vagabondo lo perquisisce da capo a piedi, trovando due lettere scritte con la medesima grafia ma riportanti due mittenti diversi. Uno dei due speditori risulta essere la madre, la quale sottoscrive la data di nascita di Kaspar Hauser, il 30 aprile 1812, e indica come il padre sia un ufficiale del sesto reggimento cavalleria bavarese venuto a mancare. La seconda lettera è firmata dal presunto rapitore del ragazzo che, non avendo a cuore le sue sorti, lo ha liberato dopo anni di rigida prigionia.
Quel 26 maggio Kaspar lo passa nella prigione di Norimberga: la polizia vuole vederci chiaro prima di accusarlo di vagabondaggio o, nel peggiore dei casi, di truffa. Dopo i primi giorni in cui lo stordimento offusca la parlata del giovane 17enne, finalmente apre bocca e inizia ad esprimersi in modo sensato. Dice di esser stato prigioniero in una cella piccola e poco illuminata, di aver dormito sul pagliericcio e di aver goduto dell’esclusiva compagnia di tre giocattoli intagliati in legno, rispettivamente due cavalli ed un cane. Kaspar però aggiunge dettagli interessanti ad una vicenda già abbastanza enigmatica. Ogni mattino, nel momento del risveglio, trovava di fronte a sé del pane e dell’acqua. Spesso quest’ultima era amara; quando il sapore era strano, lui dormiva più del solito, risvegliandosi con i capelli tagliati e con la paglia cambiata.
Della sua storia seppe dire un’ultima cosa. Poco prima di poter sperimentare la libertà, un uomo dal volto coperto gli insegnò a scrivere il suo nome, salvo poi abbandonarlo alle porte di Norimberga. La medicina moderna ritiene implausibile che il racconto di Hauser sia quantomeno vicino alla realtà. Se davvero avesse sperimentato la reclusione forzata fin dalla prima infanzia, sicuramente avrebbe maturato un permanente ritardo mentale dovuto alle mancate interazioni sociali e all’assenza di stimoli. Cosa, questa, che invece non si riscontrò all’epoca dei fatti. Comunque la notizia sullo strano ritrovamento del 26 maggio fece il giro del paese.
Prima la città, poi lo scrittore nonché filosofo Georg Friedrich Daumer, adottano Hauser. I problemi non tardano a presentarsi. Sebbene l’educazione del ragazzo proceda a passo spedito, Kaspar ha un grande difetto: mente in modo spudorato. L’atteggiamento, costante e recidivo, causa più di qualche diverbio con la governante della casa e non di meno con la servitù. Due episodi in particolare aizzano tanto il mistero quanto l’insicurezza sull’origine di Kaspar Hauser. L’adolescente si ferisce in due occasioni distinte: la prima volta dice di aver subito l’aggressione del famigerato uomo mascherato (ma diverse prove a carico degli inquirenti smentiscono suddetta testimonianza). La seconda occasione se vogliamo è più grave ma meno ambigua: un colpo di pistola gli sfiora il capo, tutto perché il giovane fa cadere la pistola appesa sul muro nel tentativo di afferrare dei libri posti fin troppo in alto.
È comunque quanto basta per cambiare la custodia di Kaspar, affidata ora al barone von Tucher. La popolarità cresce col passare dei giorni. Hauser diventa una celebrità internazionale e qualcuno, più di qualcuno, inizia a sobillare una certa versione dei fatti, la più accattivante: e se l’ex vagabondo fosse un principino della casa reale bavarese, quella di Baden-Baden? Lo pensano in molti, anche il nuovo ed ennesimo tutore, il britannico lord Stanhope. Egli sente Hauser pronunciare qualche parola in ungherese e dopo aver chiesto spiegazioni su quei vocaboli “sorprendenti ed inaspettati”, la risposta lo fulmina. Kaspar Hauser dice di essere il figlio della contessa magiara Majthényi. Beh, cosa aspettare? Si organizza un bel viaggio nel Regno d’Ungheria per far sentire a casa Kaspar.
Peccato che il giovanotto non riconosca neppure un paesaggio come vagamente familiare: il viaggio è un fallimento e lord Stanhope, stanco della patologica mendicità del ragazzo, lo abbandona ad Ansbach, da un amico, continuando tuttavia a pagarne il mantenimento e promettendo come un domani, a condizioni favorevoli, l’avrebbe portato in Inghilterra. Con quella speranza Hauser resta nella città della Baviera, dove però è infelice. La sua popolarità va scemando e la relazione col nuovo custode è delle più ostiche. Il 14 dicembre 1833 rincasa con una ferita profonda sul pettorale destro, secondo la sua testimonianza causatagli da uno sconosciuto mascherato in un parco della città. Hauser ripete più volte come il presunto attentatore abbia lasciato una borsa sul luogo del tentativo criminoso.
La polizia perlustra in lungo e in largo, fin quando effettivamente reperisce una borsa ed una lettera. Il contenuto della suddetta è abbastanza criptico: “Hauser sarà in grado di dirvi precisamente da dove vengo e che aspetto ho. Per evitargli il fastidio, io stesso vi dirò da dove vengo _ _ . Vengo da _ _ _ Il confine di Baviera _ _ Sul fiume _ _ _ _ _ Vi dirò persino il mio nome: M. L. Ö.”
Quell’affondo sul robusto petto di Hauser è fatale, spira il 17 dicembre 1833. Il tribunale locale indice un’investigazione, riscontrando incongruenze e contraddizioni. In primis, la nota conteneva degli errori grammaticali tipici di Kaspar. Durante la degenza in ospedale, il ragazzo chiese più volte della borsa e, quando finalmente gli comunicarono di averla ritrovata, egli non volle sapere più cosa contenesse. Infine la piega della lettera era triangolare, sicuramente inusuale per tutti, ma non per Hauser che sapeva piegare fogli solo in quel modo. Gli esaminatori forensi tra l’altro confermarono l’ipotesi per la quale la ferita potesse essere autoinflitta.
Sulla sua tomba di Ansbach si trova una lapide grigia, riportante la dicitura: “Hic jacet Casparus Hauser, aenigma sui temporis. Ignota nativitas, occulta mors – MDCCCXXXIII” che tradotto appare come “Qui riposa Kaspar Hauser, enigma del suo tempo. Ignota l’origine, misteriosa la morte – 1833”. Ancora oggi le teorie sul suo conto si sprecano, tra complottisti, scettici, vaneggiatori e semplici curiosi. Cosa accadde tuttavia prima di quel 26 maggio 1828 è un mistero al quale nessuno probabilmente troverà mai soluzione.