Sentirsi circondati da tanti e sapere che fuori la finestra della stanza c’è un mondo che vive secondo dinamiche endogene. Ascoltare la quotidiana e frastornante melodia della città che si sveglia, che lavora o si prepara a festa conduce a diversi stati emotivi, ognuno dei quali soggettivi ed interiori. Uno di questi è facile da sperimentare, soprattutto nella società contemporanea in cui il sovraccarico relazionale sfocia spesso nella controindicazione peggiore: la solitudine. Tra il 1941 e il 1942, l’artista statunitense Edward Hopper dipinse su tela questo malessere progressivo e dilaniante nella sua versione più drastica. All’opera venne dato il titolo di Nighthawks, letteralmente “falchi della notte”, che nello slang newyorkese sta per Nottambuli.
Edward Hopper maturò l’idea di dipingere l’alienazione tipica dell’ambiente urbano a seguito di una passeggiata notturna tra le strade di una desolata Grande Mela. Dalla fine del 1941 sino al termine della guerra, lo Stato di New York ordinò il blackout precauzionale a causa del timore che si aveva per eventuali bombardamenti aerei. L’assenza delle luci, una restrizione agli spostamenti non decretata ma fortemente consigliata, dunque un’indolenza forzosa, trasforma la città introducendola in uno spazio al limite tra l’irreale e la cruda oggettività.
L’artista non sarebbe tale se non portasse con sé un quadernino dove ascrivere nero su bianco le idee che corrono veloci. Sui fogli Hopper disegna una scena, o meglio, un’istantanea dell’esistenza notturna in cui dirà di essersi imbattuto fiancheggiando Greenwich Village, nel quartiere di Manhattan. Nello schizzo si scorge un locale aperto ad orario continuato, frequentato fisicamente (ma non mentalmente) da individui asettici, privi di sensibilità, reciprocamente vicini ma soli.
Fantasmi visitatori di un ambiente interrotto dalla quiete di una città, quella di New York, che proverbialmente non dorme mai, salvo contingenze di natura bellica. L’improvvisata cattura su carta di quel diner diviene ben presto materiale utile per qualcosa di più grande e approfondito. Per qualche mese Hopper lavora sui Nottambuli, una tela che piace soprattutto alla moglie. È lei, Josephine Hopper, a tenere aggiornata la cognata sull’andamento dell’opera: “Ed. ha appena completato un’immagine molto bella – un locale per mangiare di notte con 3 figure. Night Hawks sarebbe un nome adatto. È stato lo stesso Edward a posare per i 2 uomini grazie ad uno specchio, ed io [ho posato] per la ragazza. Ci ha lavorato un mese e mezzo”.
Asfissiante è l’interazione che non esiste tra i personaggi, immersi in pensieri profondi o persi nell’anonimia disgregante della città. Sono le bozze preliminari dell’artista americano a raccontarci l’avulso parto del dipinto. In un primo momento Hopper desiderava esplicare la psiche dei suoi personaggi tramite azioni o quantomeno intenzioni. Nei disegni di prova le persone, in numero di quattro, evitano il contatto fisico, preferendo quello visivo, più timido, quasi tentennante. I Nottambuli sono essenziali nel loro modo di vestire, interagire, vivere il momento. Così come è limitato all’indispensabile il decoro dell’ambientazione, spurio di dettagli in vista, quanto più “contornato” da elementi propedeutici allo scenario.
Con la seguente nota, il meticoloso Ed. raccolse una serie di minuzie da dover trasformare in arte tangibile: “Notte + interno brillante di un ristorante economico. Oggetti luminosi: bancone in legno di ciliegio + una serie di sgabelli attorno; la luce riflessa sui serbatoi metallici sulla destra in secondo piano; una serie di piastrelle luminose di giada messe di tre quarti, sotto la vetrina che gira all’angolo. Le pareti chiare di colore giallo ocra fino alla porta della cucina sulla destra. Un bel ragazzo biondo vestito di bianco (giacca e cappello) dietro al bancone. Una ragazza con la camicetta rossa, con i capelli castani e sta mangiando un panino…”
“…Uomo con naso a becco con vestito scuro, cappello grigio scuro con banda nera, una camicia blu semplice e tra le mani regge una sigaretta. C’è un’altra figura scura di spalle a sinistra. Il marciapiede all’esterno è di un verde chiaro quasi pallido. Sul lato opposto ci sono delle case fatte con mattoni rosso scuro. L’insegna del ristorante è scura e c’è scritto “Philies 5c Sigari”, con il disegno di un sigaro. Fuori al negozio è buio e verde. Nota: l’interno del soffitto è luminoso e contrasta con il buio della strada esterna e sull’angolo della vetrina c’è una piccola finestra“.
Terminato il quadro il 21 gennaio 1942, Hopper lo espose nella galleria d’arte Rehn. Normalmente lì i suoi dipinti conoscevano l’acquirente migliore: per i Nottambuli non fu diverso. Daniel Catton Rich, il direttore dell’Art Institute of Chicago, l’acquistò per la modica cifra di 1.971 dollari al netto delle commissioni e dei costi (quasi 3.000 $ lordi). Quello che oggi è considerato uno dei più riconoscibili dipinti americani, unanimemente inteso come il capolavoro di Hopper, è esposto al sopracitato Art Institute di Chicago.