Dall’VIII fino al tramonto del XVI secolo tennero sotto scacco buona parte del Giappone feudale, in quanto formidabili uomini d’arme riuniti in gruppi paramilitari fedeli ora ad un tempio buddista, ora a quell’altro. I Sōhei ((僧兵, lett. “monaco soldato”) furono una costante del contesto sociale e bellico nipponico dal periodo Heian fino all’avvento dei tre unificatori, epoca conclusasi con l’istaurazione dello shogunato Tokugawa. Sbagliereste, tuttavia, ad identificare questi individui al confine tra la devota fede e l’irrefrenabile spirito combattivo con i monaci guerrieri occidentali, inquadrati nei vari ordini che ben conosciamo. Dunque di cosa parliamo?
Il discorso sulla nascita di questa accertata figura storica parte da una singola eccezione, riscontrabile nel testo Sutra mahayana del Grande passaggio al di là della sofferenza (Mahāyāna Mahāparinirvāṇasūtra; chi lo legge tutto d’un fiato merita la mia più profonda stima). Lo scritto di matrice buddista evidenzia come, seppur vietata per natura, la violenza trovi giustificazione nella protezione della religione (il termine esatto è Dharma, che ha una miriade di significati, ma che può essere tradotto come fede, religione, ordine delle cose). Forti di una concreta base dottrinale, i primi monaci soldati salirono alla ribalta durante il periodo Nara (710-794), consolidando la propria posizione sociale durante l’epoca Heian (794-1185).
La varie corti che si succedettero al vertice del regno non nascosero un certo timore nei confronti dei Sōhei. Vennero quindi promulgate leggi per limitarne la forza, cercando di proibire loro il possesso di armi nonché l’adozione di atteggiamenti prevaricatori. Anche per il Giappone dell’epoca valeva il detto “fatta la legge, trovato l’inganno” perché molti giovani restii a prestare servizio nell’esercito, iniziarono a dichiararsi monaci (ai quali era negata ogni forma di violenza). Risultò evidente il dover allentare la legge per far quadrare la situazione. Così molti monaci tornarono a brandire le loro amatissime naginata (lancia inastata tradizionale) o le altrettanto spaventose tachi (spade ricurve, utilizzate dalla cavalleria).
Tra il IX e il X secolo la situazione degenerò. Ogni tempio buddista poteva contare su una specifica banda armata. Manco a dirlo, questi templi giunsero a farsi reciprocamente la guerra, mettendo a ferro e fuoco intere aree dell’Honshu (la principale isola dell’arcipelago nipponico). L’esercito regio interveniva riequilibrando la situazione solo temporaneamente. Qualcuno provò a porre nuovamente un limite a questo disordine. Degno di nota fu il tentativo dell’abate buddista Ryōgen. Saldo esponente della setta Tendai, egli redasse una sorta di “codice del buon monaco”. Insomma, una guida d’onore da poter seguire per essere un puro ed orgoglioso Sōhei. Nonostante lo sforzo, Ryōgen non riuscì a fermare la violenza dilagante perpetrata dai monaci guerrieri.
Quando il Giappone entrò nella stagione degli stati combattenti, epoca nota col nome Sengoku (戦国時代), l’annosa questione dei monaci soldati conobbe una svolta non indifferente. Lo Shōgun (qui l’articolo d’approfondimento sulla figura), che progressivamente esercitava un potere predominante, non osteggiò i monaci guerrieri. Piuttosto elevò di rango le sette buddiste che predicavano in suo favore, declassando tutte le altre. La regola Zen prevalse dunque su quella Tendai (quella di Ryōgen per intenderci). Quest’ultima un tempo era maggioritaria, mentre dal XIV secolo in poi andò man mano dissolvendosi.
La contrapposizione tra le due scuole sfociò in aperte ostilità. I Sōhei più tradizionali, pur di non soccombere sotto i colpi dei monaci Zen, finirono per allearsi con una setta radicale professante la venuta di un novello Buddha. Sorse una nuova coalizione, quella degli Ikkō-Ikki. In poche parole fondamentalisti convinti che la morte in battaglia fosse l’unica via d’accesso per il Nirvana.
Gli Ikkō-Ikki se vogliamo rappresentarono l’ultimo canto del cigno dei monaci guerrieri giapponesi. Poco prima dell’epoca Tokugawa, essi combatterono contro Oda Nobunaga, pur alleandosi in un secondo momento con Toyotomi Hideyoshi. Con Tokugawa Ieyasu l’estremismo monacale venne pressoché estirpato, permettendo l’ascesa dello Shintoismo e la perdita d’influenza da parte del Buddismo. Quest’ultimo non scomparve del tutto e anzi si riformò, almeno in Giappone, in senso strettamente religioso e dunque non più militare. Terminò così, a cavallo tra Cinque e Seicento, l’esperienza dei Sōhei, temutissimi, a lungo incontrastati, perché sotto la tonaca quasi sempre c’era l’armatura…