Almanacco del 16 aprile, anno 1457 a.C.: in Cananea ha luogo la Battaglia di Megiddo tra le forze egizie di Thutmose III e i cananei guidati dal re di Kadesh. Storiograficamente parlando, lo scontro è ricordato come il primo della storia umana ad essere registrato secondo fonti affidabili. Ma come si può essere certi della precisione di una simile data per un evento così lontano nel tempo, incastonato nel bel mezzo del II millennio a.C.? Me lo sono chiesto anch’io e le risposte in cui mi sono imbattuto (anche se non prive di criticità) hanno un non so cosa di strabiliante. Vediamo cosa accadde.
Doveroso fornire un po’ di contesto prima di tutto. Thutmose III (XVIII Dinastia) da circa vent’anni co-regnava assieme alla matrigna Hatshepsut, moglie di suo padre e perciò legittima regina d’Egitto. A detenere il vero potere era quest’ultima, che infatti incaricò il giovane faraone del comando sulle truppe stanziate ad oriente del Delta (del Nilo, chiaramente). La regione però era una sorta di pentola a pressione, capace di esplodere da un momento all’altro. Sebbene formalmente l’area di Kadesh fosse sottomessa all’Egitto, essa in realtà mal sopportava il dominio del Nuovo Regno. Portavoce di questo malessere si fece l’aristocrazia locale e in primis il sovrano.
Egli mise in piedi un esercito “ribelle”, cercando e trovando l’aiuto di circa 330 principi cananei, siriani e fenici. Suddetto esercito, all’effettivo sui 10.000/15.000 uomini, si riunì nella ricca città-stato di Megiddo, non distante da Nazareth, per fornire coordinate più note. Ora è necessario fare una leggerissima digressione di carattere storiografico. Quali sono le fonti che, in modo accurato e incredibilmente scrupoloso (per gli standard del tempo), riportano i fatti di cui voglio rendervi partecipi? Sono molteplici in realtà e spaziano dagli “Annali di Thutmose III” presenti a Karnak, passando per i corridoi presso il sacrario di Amon, giungendo alle stele di Gabel Barkal e quella di Ermontis.
Non è finita qui, perché l’episodio del 16 aprile 1457 a.C. è riportato su un papiro antico che per millenni la sabbia del deserto ha conservato alla perfezione. A scrivere sugli sviluppi della Battaglia di Megiddo fu molto probabilmente lo scriba personale del faraone. La rarità di una simile convergenza di fonti sulla stessa tematica è sotto gli occhi di tutti. Ecco come si può spiegare l’esattezza della data. Ora torniamo ai fatti.
A fronte di un esercito di circa 20.000 uomini (secondo le stime più ottimistiche), Thutmose III marciò per 200 km prima di arrivare sulla catena montuosa che precede Megiddo. Dopo qualche diverbio con i generali sul piano d’attacco e la strada da percorrere, gli egizi completarono la marcia attraversando una stretta gola. Il percorso costò dodici ore di tempo agli uomini del faraone. Così l’esercito si radunò nella spianata dinnanzi alla città di Megiddo, in attesa di affrontare l’enorme guarnigione confederata, che fuori le mura aveva montato l’accampamento. Non si sa bene per quale ragione, ma gran parte delle truppe della confederazione cananea decise di abbandonare l’accampamento esterno e rifugiarsi all’interno delle mura. Così facendo, gli egizi ebbero vita facile nell’impostare l’assedio alle mura di Megiddo.
Questo durò poco, qualche giorno secondo alcune testimonianze (altre fonti però parlano di mesi, addirittura stagioni). Il 16 aprile la città capitolò, aprendo le porte a Thutmose III. Sempre secondo le fonti egizie, il faraone fu clemente con i vinti, permettendo ai soldati di tornare nelle loro case sani e salvi. Il che è credibile, perché il sovrano egizio non organizzò la campagna per distruggere i ribelli, quanto più per guadagnare prestigio politico a danno della scomoda matrigna, co-reggente nel Nuovo Regno.