La popolazione della città di Napoli, il 27 gennaio 1533 insorgeva contro il viceré spagnolo don Pedro de Toledo. A originare la rivolta fu l’introduzione per volere dello stesso viceré di una particolare gabella sui generi alimentari quali carne e vino. In quelle due giornate una figura tra tutte aveva incendiato gli animi: Fucillo.
Domenico detto “il Micone” o “Fucillo“ per l’appunto, nato umile ma non povero, trasferitosi a Napoli era subentrato nell’attività paterna, ed era diventato un mercante di vino. La gabella introdotta intaccava pesantemente i suoi affari e si fece ben presto portatore del malcontento popolare, non esitando a ricorrere ai mezzi giuridici.
Toledo aveva varato uno strabiliante programma urbanistico-militare che avrebbe riqualificato non solo le aree urbane ma anche le coste. Quest’ultime, grazie alle fortificazioni, avrebbero potuto resistere ai costanti attacchi dei Turchi. Dato il continuo esborso di denaro del regno, per via dei donativi devoluti alla corte madrilena, il viceré era stato costretto a ricorrere alla propria astuzia. La gabella sul vino avrebbe consentito di raccogliere fondi per la sovvenzione del piano urbanistico-militare e pertanto di avviare i lavori.
Allo scoppio dei tumulti a invocare la mediazione tra il viceré e la popolazione vi fu l’aristocrazia. I loro appelli rimasero però inascoltati. Dopo la prima giornata e l’incarcerazione del sobillatore Fucillo, una folla si era riunita per chiederne la liberazione. Il mercante di vino si trovava infatti nelle carceri della Vicaria. La folla chiedeva inoltre a gran voce anche la sospensione della gabella.
Il balivo Urries diede l’ordine ai soldati di fare fuoco sulla folla. Toledo che non disdegnava risoluzioni severe diede il suo benestare. Ad aiutare i funzionari spagnoli vi furono anche i nobili del regno, che per dimostrare la propria fedeltà al viceré dovettero intervenire.
Al termine delle due giornate la rivolta era sedata e Fucillo giustiziato. Il suo cadavere appeso da una delle finestre della Vicaria come monito circa la possibile successiva insubordinazione. La violenza se pur di breve durata aveva minato l’autorità vicereale che progressivamente era rimasta senza appoggio popolare. Le conseguenze di quelle veementi azioni il viceré le avrebbe dovute scontare in seguito.