La Basilica di San Pietro a Perugia contiene un gioiello artistico spesso ignorato dalla critica tout court. “Apoteosi dell’ordine dei Benedettini” è una tela realizzata dall’artista di origini greche Antonio Vassilacchi, cresciuto a Venezia e noto come lo “Straniero”, o meglio l'”Aliense”. Era il 1592 quando l’artista intraprendeva il dipinto destinato a sormontare la porta di uscita della Chiesa perugina e a stupire per secoli anche i più distratti fedeli. “Lo sguardo del demonio” che vi è impresso, infatti, spicca inevitabilmente rispetto ai canonici soggetti delle altre dieci tele del ciclo, incentrate su scene dell’Antico Testamento.
Quasi trecento religiosi (pontefici, cardinali, abati, vescovi ed esponenti di vari ordini monastici) più grandi del naturale affollano l’enorme superficie della tela in questione. Gli attributi dei personaggi – tiare, cappelli cardinalizi, volumi cartacei, pergamene sacre – si avvicendano tra le figure dei venerabili raccolti attorno a San Benedetto. L’ocra, il rosso e il blu, incupiti dai chiaroscuri dovuti alla sovrapposizione dei corpi, definiscono uno spazio celeste eppure claustrofobico. A ricordare la presenza del Divino è la luce dorata che sormonta la composizione e che fuoriesce da due fenditure simmetriche, poste nella parte centrale del dipinto.
A ben vedere, però, attraverso i due squarci contenenti il Sole e la Luna si fa strada nel quadro una presenza sinistra. Le aperture a mandorla si rivelano gli occhi infuocati di un’entità luciferina pronta a soggiogare lo spettatore. Improvvisamente, tutta la composizione assume le caratteristiche dello “sguardo del demonio”. In alto i ciuffi nerastri dei sacerdoti ne costituiscono le corna, alle estremità San Pietro e San Paolo finiscono per definirne le orecchie appuntite. Nell'”Apoteosi dell’Ordine dei Benedettini” la luce è – etimologicamente – anche quella del primo dei Demoni: l’angelo Lucifero precipitato dai cieli.
Inspiegabilmente, lo “sguardo del Diavolo” trovava posto nel trionfo dei Santi proprio nel momento in cui la Controriforma stava minando allo svelamento del volto “oscuro” della Chiesa. Le 95 tesi di Lutero, lo scandalo della vendita delle indulgenze, l’operato di Erasmo da Rotterdam e il Sacco di Roma del 1527 avevano scosso profondamente l’ortodossia romana. Così, la controffensiva promossa dal Concilio di Trento si concretizzò nel tentativo di ripristinare l’unità e la forza della Chiesa cattolica contro ogni eresia. In pochi decenni condanne e scomuniche capillari colpirono con intolleranza ogni posizione teologica non conforme alla dottrina della Chiesa di Roma.
Viene da chiedersi, dunque, come abbia fatto il “demone” di Vassilacchi a superare l’intransigenza del Tribunale dell’Inquisizione, incaricato dal 1543 anche della censura di un certo “riformismo” iconografico. Al di là della radicale iconoclastia promossa da Calvino e Zwingli, la Riforma, infatti, agì anche nelle modalità di rappresentazione dei soggetti sacri. La deformazione prospettica delle figure, i forti contrasti chiaroscurali e gli artifici formali nelle opere di Tintoretto e Veronese mostravano un volto “nuovo”, e affatto gradito, delle gerarchie ecclesiastiche. Le ombre sempre più intense sulle fattezze dei Santi riflettevano una scelta più dottrinale che estetica. Quelle ombre erano le tenebre che da tempo stavano intaccando la candida morale della Chiesa cattolica…
Di fronte a spinte artistiche che rispecchiavano la percezione di un mondo ecclesiastico sempre più corrotto dalla mondanità, l’intervento della Chiesa di Roma fu puntuale. La ridefinizione dei rapporti fra arte e religione fu al centro Concilio di Trento, che nel 1563 ordinò senza riserve l’ottemperanza all’austerità delle immagini sacre. Non solo: il principio per cui l’arte doveva costituire la Biblia pauperum – e quindi degli incolti – determinò una valorizzazione della funzione didattica delle manifestazioni estetiche. Allora, sebbene un demone in una Basilica possa apparire al limite dell’eresia, la verità è che non c’è niente di più ortodosso dell'”Apoteosi dei Benedettini”…
Sormontando la porta di uscita dell’edificio, lo “sguardo del Demonio” si completa con la “bocca” che espelle i fedeli nel mondo di tutti i giorni. In questo modo, il volto infuocato del diavolo viene ad assumere la funzione di un monito. Spalancandosi di fronte ai credenti in uscita dalla basilica, gli occhi maligni ricordano loro cosa li attende all’esterno della Chiesa. Contro la vita di tutti i giorni, dove il peccato è in agguato, l’istituzione ecclesiastica rimane l’unica garante della salvezza. Era questo, d’altronde, il grande insegnamento promosso dalla Controriforma: la vittoria dell’unità spirituale contro la moltiplicazione delle eresie e dei mali terreni. Tutt’altro che un affronto all’ortodossia cattolica, l’originale dipinto mirava a ristabilire il ruolo della Chiesa come mediatrice super-partes tra Dio e l’uomo, che proprio i fermenti inaugurati da Lutero avevano messo in discussione.