L’analisi condotta su frammenti proteici microscopici e DNA recuperati da ossa scoperte all’interno di una cavità profonda all’incirca 8 metri in Germania orientale potrebbe rivoluzionare la nostra concezione sulla storia umana in Europa. Suddette analisi, se confermate dalla comunità scientifica, dimostrerebbero come Neanderthal e Homo sapiens vivessero a stretto contatto nel settentrione europeo già 45.000 anni fa. I risultati della ricerca – che molte testate divulgative stanno riprendendo in queste ultime settimane – offrono spunti interessanti per quanto riguarda il tema della transizione evolutiva umana nel Vecchio Continente. Nei seguenti paragrafi cercherò, per quanto possibile, di approfondire i dettagli dello studio. Lo farò avvalendomi delle ben più degne e meritevoli parole spese dai ricercatori responsabili dello studio e non solo.
Uno degli autori della ricerca nonché detentore di una cattedra presso il facoltoso Collège de France a Parigi, il francese Jean-Jacques Hublin, spiega come l’analisi genetica dei fossili (rinvenuti nella grotta di Ranis, in Turingia, n.d.r.) a sua volta suggerisca un fatto sorprendente. La nostra specie potrebbe essere autrice di strumenti in pietra fino ad ora attribuiti ai Neanderthal, vissuti in Europa almeno sino a 40.000 anni fa. Lo stupore deriva dal fatto che non si conoscessero prove così settentrionali della produzione materiale “marchiata” Homo sapiens.
Hublin annuncia: “Il sito della grotta di Ranis fornisce la prova della prima dispersione dell’Homo sapiens alle latitudini più elevate d’Europa. Ciò cambia radicalmente la nostra precedente conoscenza del periodo: l’Homo sapiens raggiunse l’Europa nord-occidentale molto prima della scomparsa dei Neanderthal nell’Europa sud-occidentale”.
Osservando meglio i punti salienti dello studio, suddiviso in tre aree tematiche e pubblicato separatamente nelle riviste divulgative Nature e Nature Ecology & Evolution, si possono scorgere delle argomentazioni di primo piano. Ad esempio si sa come lo stile dello strumento in pietra scoperto nella cavità di Ranis sia riconducibile a quello di altri manufatti scoperti altrove nel continente. Evidenze simili si trovano in Moravia, Polonia orientale, nell’arcipelago britannico.
Per quanto riguarda le ossa scoperte a 8 metri di profondità, i ricercatori hanno fatto ricorso alla tecnica nota come “paleoproteomica“. Grazie ad essa gli scienziati hanno confermato come i frammenti scheletrici appartenessero esclusivamente ad Homo sapiens. Attraverso il radiocarbonio invece si è fornita una contestualizzazione cronologica. Gli ominidi in questione abitarono la regione all’incirca 45.000 anni fa. Si tratta di una scoperta da record! Essa alza alza “l’asticella latitudinale” oltre la quale i nostri antenati non hanno messo piede o comunque non hanno lasciato traccia riscontrabile.
Tra i pochi che ancora non hanno colto il lato inedito dello studio, potrà tornare utile una delucidazione di carattere geoclimatico. L’Europa centro-settentrionale di oggi non è l’Europa centro-settentrionale di ieri. Le regioni che indichiamo come territori della Germania, della Polonia, della Repubblica Ceca, fino ad arrivare ai Baltici, un tempo erano ben diversi. Essi apparivano molto più simili all’attuale Siberia che a zone boschive sì fredde ma non rigide ed inospitali. Specificarlo è utile a comprendere la resilienza dei nostri più antichi antenati di fronte alle avversità climatiche.
Per quello che è il mio personale (e trascurabile) punto di vista, ritengo sia necessario proporvi alcune criticità dell’indagine. Quest’ultime ovviamente provengono da una fonte altrettanto autorevole, un ricercatore non coinvolto nello studio di cui sopra. William E. Banks, dell’Università di Bordeaux, sostiene come: “Gli studi stiano da una parte dimostrando l’utilità dei nuovi metodi e dall’altra stiano consentendo agli archeologi di esaminare i siti con un dettaglio senza precedenti. Si migliora così la capacità di individuare quando e come un sito era occupato”.
Sempre Banks avverte tuttavia: “Sebbene tali scoperte forniscano un altro importante pezzo del puzzle di questo periodo culturalmente e demograficamente complesso riguardante la storia umana in Europa, non si può cadere nella generalizzazione del dato scientifico. Gli studi promotori di questa nuova linea interpretativa si contano sulle dita di una mano…”.