Per oltre 2.500 anni sono rimaste nascoste dagli sguardi indiscreti di tombaroli o cacciatori di tesori dal fare invadente; a lungo si è pensato a loro come elementi di una fantasia fin troppo spinta e incauta per l’odierna ratio scientifica e invece no, le “città nascoste” della foresta amazzonica sono una realtà concreta, addirittura tangibile. Un team di archeologi a conduzione franco-tedesca (con il massiccio contributo di altri paesi come Ecuador e Porto Rico) riporta i dettagli della scoperta tramite uno studio pubblicato sulla rivista Science. Analizziamoli assieme!
Ricercando nelle profondità della foresta amazzonica, gli esperti hanno rinvenuto una serie distinta di insediamenti preispanici, dotati di rete viaria e una sorprendente logica organizzativa per quanto riguarda la diposizione urbanistica. Tutto ciò prevalentemente nella valle di Upano, alle pendici delle Ande orientali, nel cuore verde dell’Ecuador.
La gioia del team franco-tedesco è giustificata da decenni di indagini e accurate ricerche; non solo di carattere archeologico, sia chiaro. L’iniziale lavoro sul campo ha progressivamente lasciato spazio allo sfruttamento di nuove (e più remunerative) tecniche di rilevamento remoto avanzato. Una di queste, nota come lidar, sfrutta la rifrazione dei raggi laser per acquisire informazioni su eventuali strutture nascoste dalla folta chioma della foresta.
Uno dei principali responsabili del lavoro di ricerca, nonché autore dello studio precedentemente citato, è senz’altro il francese Stéphen Rostain. Egli commenta così l’impatto che l’indagine ha avuto sulla comunità scientifica mondiale: “Siamo soddisfatti. Il lidar ci ha fornito una panoramica completa della regione e grazie allo strumento di rilevamento abbiamo apprezzato enormemente le dimensioni dei siti d’interesse. Ancora non crediamo ai nostri occhi! Una vasta rete di strade, nonché di città nascoste, è ancora lì fuori in attesa di urlare al mondo la veridicità della propria esistenza”.
Rostain sostiene come gli abitanti dell’epoca, vissuti nell’area dai 3.000 ai 2.500 anni fa, fossero soliti costruire piccoli villaggi in cui le case risultavano essere “essenziali e ampiamente dislocate nella sezione di territorio abitato”. Gli stessi studi però suggeriscono un’evoluzione del dato urbanistico, seguendo anche lo sviluppo delle civiltà ivi presenti. Le culture Kilamope (poi gli Upano, dopo il 300 d.C.) costruirono tumuli e su di essi edificarono piccole abitazioni a pianta quadrata. Chi venne dopo, riprese il modello costruttivo, senza applicare sostanziali modifiche di metodo o logica. L’unica differenza semmai riguardò la pianta delle abitazioni, che da quadrata passò (solo in alcuni casi) ad essere rettangolare, se non addirittura circolare.
Di questi complessi abitativi – muniti anche di edifici cerimoniali (ovviamente più capienti) – gli archeologi ne contano all’incirca 15 nell’area di foresta amazzonica osservata. L’esistenza di fossati perimetrali lascerebbe intendere una parziale ostilità tra i gruppi umani. Allo stesso tempo risulta quantomeno scontato pensare ad una discreta attività agricola, in quanto ci sono prove evidenti dell’esistenza di campi drenati e terrazzamenti definiti. “Erano delle sottospecie di città-giardino. Una simile scoperta rivoluziona il nostro paradigma interpretativo sull’attività umana in piena Amazzonia”.
La rete interurbana di cui gli archeologi parlano non sarebbe l’unica dell’America precolombiana. Evidenze simili sono certificate nelle aree forestali di Panama, Belize, Guatemala, ma anche Messico e l’immancabile Brasile. Stéphen Rostain e i suoi colleghi smentiscono il pregiudizio generalizzato sull’arretratezza delle popolazioni amazzoniche in tempi antichi. Essi parlano chiaramente di società complesse e razionalmente strutturate. Sono parole forti, che vogliono giustamente suscitare una curiosità nell’animo di chi vuole apprendere. Noi siamo qui per questo.