È il 1846 quando Ignac Semmelweis, giovane chirurgo-ostetrico, inizia a lavorare come assistente del primario nella clinica ostetrica di uno dei più grandi ospedali d’Europa, quello di Vienna. Secondo il dirigente del nosocomio, il dottor Johann Klein, ogni specializzando doveva eseguire circa 15/16 autopsie al giorno per poter accedere alla corsia e visitare partorienti o puerpere. Con il passare del tempo, però, succede qualcosa di strano: la mortalità delle neo-mamme si innalza oltre l’1% (lì dove ad operare erano i chirurghi), a differenza di quello che accade nella seconda divisione della clinica, destinata alla formazione delle ostetriche, le quali non effettuavano autopsie.
L’aumento delle morti non si osserva neanche tra le donne che partoriscono a casa. E allora qual era la causa di così tanti decessi nella prestigiosa clinica dove si faceva a gara per formarsi? In realtà, quello dell’ospedale di Vienna non era un caso isolato, la stessa cosa si osservò anche in altre cliniche universitarie. La ”febbre puerperale” ormai aveva preso piede e arrivò ad uccidere circa il 15-20% delle donne ricoverate. Semmelweis, tra tutti, fu l’unico ad approfondire la questione, tanto da diventarne ossessionato. Se da una parte la scienza ufficiale cercava di dare spiegazioni come “putrefazione dell’utero a causa di ristagno di liquidi” o “compressione dell’intestino”, dall’altra, secondo il giovane chirurgo, ciò non era sufficiente a spiegare così tanti decessi.
Così iniziò a fare le prime ipotesi: forse è l’aria inquinata data dalla rivoluzione industriale? O forse i decessi sono legati allo spavento che le partorienti provano sentendo suonare la campanella del prete che passa a dare l’estrema unzione? Tuttavia, questi ipotesi sono del tutto infondate e non trovano alcun riscontro nella realtà. Allora Semmelweis decise di concentrarsi su un altro fattore: nella clinica ostetrica i decessi erano di molto inferiori, ma perché?
Le procedure erano le stesse e i fattori esterni non c’entravano nulla, quindi? L’unica differenza era che nella clinica esclusivamente ostetrica non c’erano i chirurghi specializzandi. Questi, infatti, passavano frettolosamente da un’autopsia all’altra per poi visitare le gravide, facendo un velocissimo lavaggio di mani. La conferma che fosse questo il punto chiave arrivò con la morte di un suo collega, Jakoc Kolletschka. Quest’ultimo, durante un’autopsia si era ferito con un bisturi ed era morto presentando gli stessi segni e sintomi della febbre puerperale. La causa, quindi, secondo Ignac, erano ”particelle cadaveriche” che inducevano sepsi.
Inizialmente nessuno gli credette, era assurda come ipotesi. Tuttavia, egli costrinse tutti a disinfettare le mani prima di ogni visita con una soluzione di cloruro di calce, oltre ad ordinare il cambio lenzuola per ogni partoriente. Nel maggio 1847, la mortalità delle donne ricoverate si abbassò all’incirca all’1%. Nonostante ciò, l’idea ai luminari universitari non andò giù: i medici curavano i pazienti, non portavano malattie. Così Semmelweis venne licenziato e addirittura trattato come un pazzo. Decise quindi di tornare nella sua terra di origine, l’Ungheria. Nell’ospedale San Rocco di Pest applicò i suoi metodi con il risultato di ridurre significativamente la morte tra le puerpere.
Nel 1861 pubblicò i risultati delle sue ricerche e nonostante questo, ancora una volta, i principali esponenti della comunità medica parlarono di cialtroneria. Alla fine della sua vita venne rinchiuso in manicomio, probabilmente per una psicosi indotta dalle persecuzioni subite a livello professionale o per una neurosifilide (stadio ultimo della sifilide, malattia sessualmente trasmissibile causata dal Treponema Pallidum). Gli studi di Pasteur e Lister confermeranno più tardi quanto sostenuto da Semmelweis. Nel 2013 l’UNESCO inserirà il ”salvatore delle madri” nel registro della Memoria del mondo.