Bentornati sulla terza parte della serie dedicata alla Grande Depressione. Questo articolo verterà sulle contromisure che l’Italia adottò per affrontare la crisi. La depressione colpì il nostro paese nel bel mezzo del Ventennio, mettendo ai banchi di prova la stabilità interna del Regime.
Il governo optò per una decisa politica di intervento statale in economia. In agricoltura si portarono avanti la battaglia del grano, iniziata nel 1926 con lo scopo di aumentare la produzione interna di frumento, e le bonifiche integrali (fra il 1932 e il 1934 quella dell’Agro Pontino con l’inaugurazione di Littoria e Sabaudia). Nel settore industriale si favorirono le fusioni industriali per ridurre concorrenza e costi di produzione. Si vararono inoltre diversi progetti di opere pubbliche, oltre alla concessione di assegni famigliari ai lavoratori e all’estensione delle assicurazioni sociali (contro tubercolosi e malattie professionali).
Fu però nella ristrutturazione del sistema creditizio, e con esso il settore industriale a cui assai legato, che si assistette alle misure più significativa. Videro infatti la luce, nel 1931 l’Istituto Mobiliare Italiano (IMI) e nel 1933 l’Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI). Il primo aveva il compito di garantire finanziamenti all’apparato industriale. Il secondo, invece, entrò in possesso di pacchetti azionari delle banche salvate e di quelli di aziende posseduti da tali banche, con lo scopo di risanarle e rivenderle successivamente ai privati.
Tuttavia, tale piano fallì, in quanto tali aziende non furono mai completamente risanate e non si trovarono acquirenti nazionali disposti a rilevarle. Perciò molte quote di diverse industrie e banche rimasero in mano pubblica anche nel secondo dopoguerra (lo si smobilitò solo nel 2002). Il numero di imprese controllate era così alto che l’IRI dovette costituire diverse holding. La Finmare per le aziende di navigazione marittima, la Finsider per quelle siderurgiche, la Fincantieri per i cantieri navali e, nel dopoguerra, la Finmeccanica, per le industrie meccaniche.
Nel 1936, in seguito all’invasione dell’Etiopia, la Società delle Nazioni impose all’Italia stringenti sanzioni economiche. Il Regime, allora, lanciò addirittura l’ambizioso progetto dell’autarchia, destinato però a rimanere un’utopia vista la mancanza di materie prime nel sottosuolo della penisola.
In ogni caso, le politiche portarono benefici, seppur deboli, all’economia italiana: il PIL pro capite, infatti, crebbe del 7% fra il 1932 e il 1937.