Bentornati alla seconda parte della serie dedicata alla Grande Depressione. Nella prima ma avevamo trattato l’evento all’origine della grande crisi, ossia il crollo borsistico di Wall Street del 1929. Questo articolo invece verterà sulla reazione del governo USA dinnanzi alla crisi. Furono infatti particolarmente innovative le politiche economiche adottate in contrasto alla crisi, vista la loro divergenza da quanto sostenuto dalla maggioranza degli economisti di allora.
Colui che si fece promotore di questo decisivo cambio di passo fu il presidente Franklin Delano Roosevelt, eletto nel 1932 nelle file Democratiche. Egli era riuscito ad imporsi sull’avversario, il presidente uscente Herbert Hoover, proprio grazie al suo innovativo programma per uscire dalla depressione. Il cosiddetto New Deal, “nuovo patto” in inglese, prevedeva una decisa discesa in campo dello Stato volta al sostegno della domanda interna ed estera. Seguiva quindi una linea di politica economica diametralmente opposta rispetto alla ricetta liberista. Essa professava infatti un ruolo marginale per il governo, che avrebbe dovuto limitarsi esclusivamente al mantenimento della stabilità monetaria e del bilancio statale in positivo. Il predecessore Hoover si fece portatore di queste istanze, ma il suo operato si rivelò totalmente fallace, cosa che comportò la sua mancata rielezione nel 1932.
Roosevelt, dunque, avviò una serie di interventi tramite la politica del deficit spending, la spesa in disavanzo, fare spesa pubblica anche senza adeguate entrate che consentano il pareggio di bilancio, mediante indebitamento statale. Si intrapresero grandi lavori pubblici che permisero il riassorbimento di 3,8 milioni di disoccupati. Si introdussero assicurazioni sociali (Social Security Act, 1935), sussidi di disoccupazione, assegni familiari e prestiti agevolati per estinguere le ipoteche sulle case. Tali provvedimenti diedero ampio respiro ai piccoli consumatori riattivando la domanda interna di beni e servizi. Per favorire la domanda estera, poi, nel 1934 Roosevelt decise la svalutazione del dollaro del 41%, in modo tale da rendere più competitive le merci americane sui mercati esteri, e attenuò le politiche protezioniste con accordi bilaterali. Le esportazioni ripresero e un avanzo nella bilancia dei pagamenti già nel 1934.
L’Agricoltural Adjustment Act (AAA) prevedeva il ritiro delle eccedenze dal mercato agricolo e la concessione di sussidi a chi riduceva le terre coltivate. Fra il 1932 e il 1939, la superficie coltivata a grano, mais, cotone e tabacco si ridusse del 20%, arrestando il crollo dei prezzi. Nonostante ciò, i bassi prezzi sfavorirono i piccoli proprietari e molti mezzadri, che persero le loro terre a favore delle grandi aziende agrarie.
Per il settore industriale varò il National Industrial Recovery Act (NIRA). Esso favorì le fusioni fra imprese, in modo da ridurre i costi di produzione, e impose alle aziende codici di comportamento che prevedevano accordi su prezzi, produzione, salari e orari di lavoro, volti ad evitare la concorrenza troppo accanita.
Istituì il Tennessee Valley Authority (TVA), un ente federale con il compito di sfruttare il bacino idrografico del Tennessee tramite la costruzione di dighe e laghi artificiali. Ciò consentì di produrre energia a buon mercato e di bonificare e irrigare ampi terreni nell’area, rivitalizzando la depressa valle del Tennessee con ottimi risultati economici per l’agricoltura e l’allevamento.
Roosevelt ottenne ottimi risultati per quanto concerne la ripresa economica degli USA: il PIL pro capite crebbe del 30% fra il 1932 e il 1937. Tuttavia, non riuscì a conseguire completamente il fine ultimo che si era proposto, ossia quello di ridare slancio all’iniziativa privata. Per tutti gli Anni Trenta furono necessarie continue iniezioni di denaro pubblico e solo con la Seconda Guerra Mondiale gli USA tornarono alla piena occupazione.
Dagli USA, intanto, la Grande Depressione si diffuse verso l’Europa, colpendo anche l’economia italiana. Degli effetti che ebbe sull’Italia e delle politiche assunte per contrastarla ce ne occuperemo nel prossimo articolo, sempre qui su Storia che Passione.