In Irlanda del Nord, dopo il conflitto anglo-irlandese (1919-21), molte famiglie sperimentarono una strana sensazione, estraniante e perversa nella sua progressiva degenerazione: sentirsi dal lato sbagliato della barricata. Facile comprendere come tale sentimento, se condotto alle sue estreme conseguenze, in una terra già intrisa di odio confessionale, possa tramutarsi in aperta, brutale, sanguinaria ostilità. Nell’ottobre del 1968, una marcia studentesca per la pace e la democrazia nella città di Derry, divenne la perfetta occasione per dare inizio ai cosiddetti disordini (The Troubles in inglese) nella regione. La violenza dell’estremismo protestante che si abbatté su quella manifestazione fu la miccia scatenante del conflitto settario che seguirà.
In passato affrontammo la questione nordirlandese fino al termine della Seconda Guerra Mondiale, perciò alcune premesse di contesto saranno qui ignorate. Ci basti sapere che l’Ulster a partire dagli ’20 restò una provincia autonoma del Regno Unito. A reggerne il governo fu un partito di chiara matrice unionista, discriminatorio nei confronti della minoranza cattolica pur presente nelle campagne e, a maggior ragione, nelle grandi città. Belfast prima fra tutte. La discriminazione si espletò su diversi piani, da quello sociale a quello elettorale, da quello amministrativo fino a quello scolastico. La situazione divenne tale che all’alba dei primi scontri, la società nordirlandese poteva quasi definirsi “a duplice scorrimento”. Cattolici e protestanti vivevano separati, ma erano pur sempre irlandesi, pur sempre fratelli. Forse è per questa ragione (e per molte altre che toccheremo fugacemente) che l’opinione pubblica internazionale tanto restò angosciata da suddetti fatti di cronaca.
Dalla marcia interrotta del ’68 – dopo la quale, all’entrata della città di Derry si poteva scorgere un muro con sopra scritto “You are now entering Free Derry” ovvero “State entrando nella Derry libera (dai cattolici n.d.r.)” – si passò a veri e propri scontri nell’anno successivo. Decine di morti e centinaia di feriti furono il preludio per la premeditazione del conflitto armato. Londra spedì nell’Isola di Smeraldo le prime truppe armate per operazioni di contenimento (confuse fin dall’inizio, tanto da sfociare nella violenza indiscriminata e ingiustificata contro civili e manifestanti). Dall’altra parte, i repubblicani più arditi e più scontenti misero in piedi una struttura paramilitare, terroristica e sovversiva, che impropriamente adottò un nome molto caro agli indipendentisti irlandesi: Provisional Irish Republic Army, Provisional IRA per l’appunto. I protestanti seguirono lo stesso copione, dando vita ad altri movimenti agitatori, come l’UDA, l’INLA e così via.
E nel frattempo la tensione si faceva sempre più alta. Maledettamente più alta. Molti ricorderanno il 30 gennaio del 1972, passato alla storia come Bloody Sunday. Un giorno triste, quella domenica, quando le bocche dei fucili in dotazione ai paracadutisti britannici fecero fuoco contro la folla. 14 i morti; tanta benzina gettata sul fuoco dell’odio. Dopo quell’episodio, Londra sospese il parlamento nordirlandese e assunse il pieno controllo regionale. L’estremismo cattolico-repubblicano non vide di buon occhio la mossa ed esasperò gli attacchi mirati contro la popolazione civile protestante. La lotta senza quartiere, senza senso, raggiunse i suoi picchi più elevati tra il 1972 e il 1974. Due anni feroci, in cui l’IRA e l’esercito britannico si spararono reciprocamente quasi tutti i giorni. Scenari di guerra impensabili per la discreta e altolocata Europa occidentale. Belfast e Derry contraddicevano tale pregiudizio.
Negli anni immediatamente successivi si tentò qualche mediazione. Le parti tra loro ostili rifiutarono continuamente il compromesso, recriminando favoreggiamenti a vantaggio di una parte o dell’altra. Neppure la Convenzione Costituzionale del 1975 sedò gli animi ancora infuocati. L’IRA riteneva la presa di posizione troppo vicina alla causa unionista, perciò continuò a fare quello che sapeva fare meglio: uccidere. D’altronde coloro i quali avevano capito che con le marce non si risolveva un bel niente, presero ad imbracciare i fucili. Fu così che le azioni di guerriglia urbana si moltiplicarono, creando problematiche di ogni genere. Dai cecchini appostati in luoghi impensabili alla diffidenza esasperata, che portava alla nevrotica ricerca di un nemico anche quando questo non c’era (il discorso valeva per tutte le anime del conflitto).
Sebbene il tramonto degli anni ’70 non conobbe i numeri spaventosi del 1972 (quasi 500 morti), l’agitazione restò una costante. All’alba del primo governo Thatcher, il Regno Unito si ritrovò in una morsa di eventi a dir poco destabilizzanti. Le mine antiuomo uccisero 18 soldati inglesi nei pressi di Warrenpoint. I militanti cattolici si avvalsero anche della facoltà di eliminare Lord Louis Mountbatten, membro della famiglia reale e zio del principe Filippo. Aggravarono la situazione la morte di diversi prigionieri politici nelle carceri britanniche, come l’attivista e militante dell’IRA Bobby Sands, il quale portò avanti fino alla fine lo sciopero della fame. Con gli anni ’80, l’IRA allargò il proprio raggio d’azione, colpendo obiettivi sensibili anche in Gran Bretagna. Di tutta risposta, Londra rafforzò l’apparato militare in Irlanda del Nord, spedendo nell’Ulster reparti speciali come i SAS.
La diplomazia, sino ad allora in stato di dormiveglia se confrontata alle brutalità quotidiane che i civili cattolici e protestanti dovevano sorbire, sussultò nel 1985. Regno Unito e Repubblica d’Irlanda si accordarono su questioni politiche, amministrative, di sicurezza e rappresentanza. L’accordo era la base da cui partire per futuri dialoghi, possibilmente costruttivi. L’evoluzione naturale si palesò nel 1993 con la Dichiarazione di Downing Street: l’IRA e la sua ala politica, lo Sinn Fein, dichiaravano il cessate il fuoco e accettavano alcune clausole politiche che prevedevano l’unione delle due entità irlandesi solo dietro comune accordo.
Il 10 aprile del 1998 ci fu però la svolta storica. Con l’Accordo di Pace del Venerdì Santo l’Irlanda del Nord si dichiara parte del Regno Unito, tuttavia, qualora prevalesse la volontà indipendentista, Londra accetterebbe (previo referendum) il risultato, garantendo il delicato passaggio costituzionale. L’intero apparato politico si regge ancora oggi su questi accordi, nonostante i scossoni della Brexit.
P.S. Consiglio cinematografico per avere un’idea dei disordini iniziali nordirlandesi: il film è diretto da Kenneth Branagh e si chiama Belfast, uscito nel 2021.