Tra la metà d’aprile e i primi di maggio del 1945, i sovietici, dopo aver macinato km partendo da est, raggiungono Berlino e danno vita, con “contributo” tedesco, ad una memorabile battaglia che alla fine dei conti, vedrà vincitrice l’Armata Rossa sotto il comando operativo dei due marescialli Georgij Žukov e Ivan Konev. La vittoria è schiacciante e gli echi di quest’ultima offuscano in parte i contemporanei successi della componente anglo-americana. Winston Churchill, in quella primavera bagnata dal sangue dei vinti e dalle gioiose lacrime dei vincitori, iniziava a formulare un piano segretissimo per condurre un’offensiva a danno dell’URSS, ritenuta oramai un pericolo e non più un utile alleato nello scacchiere mondiale. Si faceva strada l’Operazione Unthinkable, l’Operazione Impensabile, per noi italiani.
Le parole del Prime Minister sul mutato scenario internazionale lasciano intendere le sensazioni occidentali dopo la presa di Berlino da parte sovietica: “La distruzione della potenza militare della Germania ha comportato un cambiamento fondamentale nei rapporti tra la Russia comunista e le democrazie occidentali. Hanno perso il loro nemico comune, la guerra contro la quale era quasi l’unico legame che legava la loro alleanza. D’ora in poi, l’imperialismo russo e la dottrina comunista non hanno visto e non hanno posto un limite al loro avanzamento e al desiderio di dominio finale”. Un buon pretesto per pianificare un attacco a sorpresa che certamente avrebbe infastidito e non poco Stalin…
Grazie alla desecretazione automatica dei documenti sensibili inerenti all’operazione, avvenuta nel 1998 e resa pubblica dagli Archivi nazionali del Regno Unito, oggi conosciamo per filo e per segno ogni singola minuzia di quell’idea un po’ folle, viste le forze in gioco e il contesto internazionale (militarmente ancora teso). Gli obiettivi neppure troppo velati di Churchill si potevano riassumere secondo la seguente scaletta: 1) Creare un fronte in opposizione all’Unione Sovietica. Più si andava ad est, meglio era per le democrazie occidentali. 2) Scacciare i russi da Berlino e acquisire il totale controllo della città. 3) Liberare Praga e la Cecoslovacchia, centrali dal punto di vista strategico-territoriale. 4) Idem per Vienna e di conseguenza l’Austria.
La questione senza ombra di dubbio più controversa, almeno secondo il piano, sarebbe stata la Polonia, fulcro attorno al quale ruotava la realizzazione dell’Operazione Unthinkable. USA e UK vedevano di buon occhio l’instaurarsi in Polonia di un regime politico plurale e autonomo, in cui i comunisti avrebbero avuto un peso non indifferente. In realtà, le grandi potenze avevano concordato questa linea a Jalta. Tale governo non avrebbe dovuto intralciare la formazione di partiti indipendenti dalle direttive di Mosca. Stalin presentava uno scenario un po’ più drastico (per non dare corda agli esponenti del governo polacco prebellico in esilio a Londra). Per superare “l’impasse polacca”, il primo ministro inglese si consultò con il suo Gabinetto di guerra riguardo una possibile campagna militare contro i russi. L’eventualità avrebbe visto come teatro proprio la terra polacca.
I consiglieri e nella fattispecie il feldmaresciallo Alan Brooke rimasero sbalorditi da quell’ipotesi, ben illustrata secondo un piano dissennato nella sua insensatezza. L’operazione, prevedendo un’avanzata sovietica in territori di margine come Turchia, Grecia, Norvegia, Iraq e Iran (oltre ad azioni di sabotaggio logistico in Francia e Benelux), verteva sul fattore sorpresa e sull’offensiva su larga scala contro i reparti russi di stanza in Polonia. Una (improbabile) vittoria avrebbe fatto scattare la seconda parte del piano. Ovvero la conquista dei territori in cui la produzione industriale di materiale bellico era di estrema importanza per Mosca. Ci si potrebbe chiedere: esattamente, con quali forze Churchill presupponeva tutto ciò? La risposta appare tanto scontata quanto allarmante. Impero Britannico, USA, forze polacche amiche e (rullo di tamburi) reparti tedeschi da reclutare tra i prigionieri di guerra…
Il piano d’attacco, congeniato dal brigadiere Geoffrey Thompson, sarebbe scattato il primo giorno di luglio 1945. 47 divisioni anglo-americane avrebbero partecipato alla manovra partendo da Dresda. Eh sì, contro 170 divisioni e 30 corazzate sovietiche. Restava tuttavia una parziale superiorità aerea e navale da parte inglese e americana. Il Gabinetto di guerra londinese dichiarò impossibile l’attuazione del piano. Limpida era la disparità di forze e soprattutto c’era un certo rischio nel richiamare alle armi circa 100.000 uomini tra ex ufficiali delle SS e soldati della Wehrmacht. Inoltre nessuno (tranne forse l’URSS) era pronto ad una nuova guerra totale. Infiltrati russi nello Stato Maggiore britannico riportarono l’informazione a Stalin. Non è un caso se nel giungo del ’45 il maresciallo Žukov ricevette l’ordine di riorganizzare le forze di difesa e studiare lo schieramento delle truppe occidentali nella Germania occupata. Per fortuna l’operazione sognata da Churchill rispettò le prerogative del proprio nome.