Diplomatico, giramondo, acculturato come pochi altri, orientalista, nobile e, per la maggior parte di coloro che amano etichettarlo con un solo (e stretto) attributo, avventuriero. Dal giorno in cui si recò col fratello maggiore alla corte di Persia a quello in cui spirò a causa di una brutta dissenteria, Robert Shirley rappresentò questo ed altro. Fu un importante filo conduttore tra mondi diversi ma con interessi affini. Ma non brucerò le tappe.
Robert Shirley fu il terzogenito di una famiglia aristocratica inglese, gli Shirley di Wiston. Nacque nel 1581. Ora, da questo anno fino al 1598 si evince un buco biografico che neppure le fonti più consone riescono a colmare. Essendo nobile figlio di nobili, facile ipotizzare l’andamento dei primi anni di vita. All’età di 17 anni, seguì suo fratello Sir Anthony Shirley in quell’Oriente che in modo indelebile avrebbe marchiato la sua vita. Direzione Persia, alla corte dello Scià Abbas I detto “il Grande”. I Safavidi (1571-1736) allora richiesero alla corona inglese un supporto tecnico e logistico per migliorare l’apparato militare dell’impero, arretrato rispetto al rivale ottomano.
Ovviamente la regina Elisabetta I fu contenta di aiutare gli amici persiani, visto che i rivali francesi facevano di tutto per sopportare la causa ottomana. Ragioni internazionali a parte, lo Scià fu chiaro nel definire il ruolo e le tempistiche alla missione Shirley: per implementare le conoscenze militare britanniche avrebbero avuto tempo 6 mesi, fino al maggio del 1600. In quei mesi Robert maturò una passione smisurata per quella cultura, quell’ambiente lontano eppure così prossimo all’anticamera del suo cuore. Al fratello chiese di poter restare oltre lo scadere della missione. Ricevette un convinto “sì” come risposta. Il soggiorno dai 6 mesi si tramutò in una residenza di 8 anni. Il lasso di tempo trasformò Robert Shirley, il quale imparò alla perfezione il persiano, divenne stretto consigliere di Abbas, finendo anche per sposarsi con Teresa Sampsonia, sangue blu circasso.
Nel 1608 Shirley d’Oriente tornò nella nebbiosa Londra, sul trono sedeva Giacomo I. Il ritorno in patria non fu di comodo, il lavoro impose la traversata. Infatti lo Scià chiese esplicitamente un’alleanza contro Costantinopoli e per farlo si avvalse della retorica spiccata di Robert. Questa trovò palcoscenici non solo in terra d’Albione, ma anche nel resto d’Europa presso teste coronate e papi. Lo Shirley passò per Roma, città speciale già allora per l’ambasciatore inglese/persiano. Intessere trame del genere però ebbe un prezzo: i nemici, prima ancora che avversari, iniziarono ad affiorare. I sempreverdi francesi, gli spagnoli, i portoghesi, oltre che qualche affarista in patria.
All’epoca avere degli individui ostili del genere non era uno scherzo da poco. Shirley sopravvisse ad attacchi corsari e combatté per aver salva la vita. Nel 1623 lo Scià di Persia lo inviò nuovamente a Londra per discutere alcuni affari inerenti al commercio con l’EIC (East India Company). Ma la lettera creditoria che confermava il suo ruolo diplomatico era scritto in persiano e nessuno, in tutta la Gran Bretagna, sapeva tradurla per poter confermare quanto detto, nessuno tranne lui. Il problema si ingigantì quando a Londra giunse un altro ambasciatore persiano, riconosciuto come tale da gran parte dei mercanti inglesi. Un vero e proprio insulto…
Il conflitto verbale tra Shirley e l’altro messo si tramutò in un’azzuffata degna di nota. Giacomo I, non volendo avere a che fare con questioni così basse (che basse non erano) rimandò la patata bollente allo Scià. Prima che il viaggio per Isfahan potesse compiersi (anni dopo), l’ambasciatore persiano venne a mancare. Shirley tornò in Persia e, ironia della sorta, seguì lo stesso percorso del rivale diplomatico. Il 13 luglio 1628 una dissenteria fulminante lo stroncò. I Safavidi gli resero tutti gli onori del caso, consapevoli della pesante perdita. Sua moglie spingerà per traslare i resti del defunto marito nella Roma che tanto aveva amato e nella quale ella si ritirò (lo Shirley ricorda nei suoi diari i soggiorni romani come i più estasianti della sua vita).
Se oggi passaste per Santa Maria della Scala (Trastevere), un duplice sepolcro potrebbe apparirvi di fronte gli occhi. Sopra di esso viene riportata la vita di Robert Shirley e dell’amata Teresa Sampsonia. Io, osservando quelle scritte, mi son chiesto chi fossero “quei due lì”. Le parole di cui sopra sono frutto di questa specifica curiosità.